Libia, liberati i quattro giornalisti. L’angosciante racconto di Claudio Monici
Claudio Monici ne ha viste tante in giro per il mondo nella sua esperienza di inviato di guerra per Avvenire. Ma siamo certi che quest' ultima, angosciosa e drammatica, appena terminata in Libia sarà quella che lo segnerà maggiormente. Il giornalista 53enne è stato appena liberato insieme ai tre colleghi italiani (Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina – inviati del Corriere della Sera -, Domenico Quirico – inviato del quotidiano La Stampa) rapiti ieri a Tripoli da un gruppo di lealisti di Gheddafi.
Monici ha raccontato ai microfoni di SkyTg24 le terribili fasi del sequestro: “Eravamo in un pickup, diretti verso il quartier generale di Gheddafi per un’intervista, quando ci siamo imbattuti in una strada molto isolata. Era una zona controllata dai lealisti. Quando l’autista se ne è reso conto ha cercato di tornare indietro, ma a quel punto è stato costretto a fermarsi: davanti a noi c’era l’esercito libico che bloccava ogni via di uscita”.
La troupe è stata obbligata a fermarsi, coi soldati che hanno costretto tutti, con la forza, ad uscire dalla vettura: "A quel punto abbiamo capito che erano i soldati di Gheddafi. Erano nervosi, con gli occhi sanguigni, continuavano a chiederci: ‘cosa ci fate qui’. E ripetevano: ‘siete italiani, ci bombardate’. Ci hanno fatto uscire dal pickup, ci hanno spintonato, alcuni sono stati presi a calci".
Il conducente del veicolo ha provato a chiuderne le porte, ma senza successo. Così i soldati dell'ormai ex leader libico hanno rivolto la loro furia contro di lui, prima picchiandolo, poi facendo fuoco. "Eravamo spalla a spalla – dice l'inviato di Avvenire – quando gli hanno sparato: pregava, ho visto muoversi le labbra. Poi lo hanno colpito a morte".
"Era un amico – prosegue Monici -. Non un amico da tanti anni. Un uomo buono. Parlava un mix di arabo, inglese e italiano. Penso alla sua famiglia, ci aveva chiesto di salutare suo padre e sua madre.".
La stessa sorte, fortunatamente, non è toccata ai quattro reporter che sono stati spintonati e portati in un alloggio lì vicino. “Ci hanno fatti entrare in una casa – racconta Monici -, ci hanno rubato tutto quello che avevamo, e siamo rimasti chiusi in una stanza per un po’. Poi, dopo le sei del pomeriggio, il carceriere ci ha chiesto se avevamo bisogno di andare in bagno, e ci ha offerto acqua e biscotti. Nel frattempo fuori c’erano scontri pesanti, sentivamo spari ed esplosioni. Alcune persone gettavano oggetti contro le finestre della casa”.
E, forse, sono stati proprio i combattimenti a far sì che i quattro giornalisti oggi raccontino la loro terribile disavventura. Trattenere degli ostaggi era, infatti, troppo impegnativo per i rapitori. "In serata, dopo la cena, ci hanno detto che sarebbe venuto qualcuno oggi per un’intervista. Invece sono arrivati quei ragazzi, che ci hanno messo in un’auto e ci hanno portati in albergo”.
In Libia si combatte ancora (anche l'Hotel Corinthia, che ospita quasi tutti gli inviati stranieri a Tripoli è stato teatro di un pesante scontro a fuoco), ma per i quattro giornalisti italiani l'incubo è finalmente finito. La Procura di Roma ha aperto un'inchiesta sull'accaduto; le ipotesi di reato sono quelle di sequestro per finalità di terrorismo e rapina.