Libia, chi sono Bruno Cacace e Danilo Calonego, i due italiani rapiti a Ghat
Sono ore d’ansia per i due italiani, rapiti nella città di Ghat, nel Sud della Libia, insieme ad un cittadino canadese. Si tratta di Bruno Cacace, 56 anni residente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), e Danilo Calonego, 68, della provincia di Belluno. I tre lavorano per conto della Con.I.Cos, una società piemontese che stava svolgendo lavori di manutenzione all'aeroporto della città libica, un’oasi desertica nella provincia di Fezzan, controllata dal governo riconosciuto dall’Onu. Il sequestro – che non è stato rivendicato – è stato confermato dalla Farnesina già nella giornata di ieri. Il caso viene seguito direttamente anche dal premier Matteo Renzi, che si trova a New York, in contatto con il ministro degli esteri Paolo Gentiloni e l’autorità delegata ai Servizi, il sottosegretario Marco Minniti.
Cacace e Calonego, i due connazionali sequestrati
Bruno Cacace è di Borgo San Dalmazzo, cittadina alle porte di Cuneo di 12 mila abitanti, “tutti lo conoscono” scrive La Stampa. Il 56enne, in quelle brevi e fugaci occasioni di permanenza in Italia, vive con la anziana madre, dopo la separazione dalla moglie (dalla quale ha avuto due figli) avvenuta diversi anni fa. L’uomo ha una sorella e un fratello gemello, che per adesso preferiscono non dire nulla sul presunto sequestro. “Speriamo che non lo sappia ancora. Lei lo aspetta sempre con tanta gioia, quel figlio che sta lontano così tanto tempo, ma che quando torna è tutto per lei. Mi auguro che tutto si risolva molto velocemente e che lui e i suoi colleghi vengano presto liberati e che quando tornerà a Borgo San Dalmazzo si farà una grande festa”, commentano in Paese.
Danilo Calonego è nato 68 anni fa a Peron, frazione di Sedico, 340 abitanti sulle Prealpi Bellunesi, cresciuto in officina ed emigrato da giovanissimo in Svizzera poi (dal ’79) in Libia, evidenzia sempre La Stampa. Dopo una vita da meccanico di auto e camion al servizio, tra gli altri, del Gruppo Maltauro, ha scelto di accettare l’offerta della Conicos e di andare a lavorare all’aeroporto di Ghat. Calonego conosce i rischi della zona. Durante gli anni della guerra civile del post-Gheddafi era stato costretto a fuggire attraverso il deserto scortato dai militari. “Non sarei rimasto così tanto tempo in Libia, se le persone lì non fossero così buone” diceva nel 2014. Gli amici del 68enne affermano che Danilo scrive spesso delle sue giornate, vorrebbe farci una sorta di biografia.
Gli italiani rapiti in Libia, c'è anche Padre Dall'Oglio
Ora sono dunque tre i rapiti italiani nel mondo: sono passati ormai tre anni dal sequestro di padre Paolo Dall’Oglio, sparito a Raqqa, in Siria, nel luglio 2013. Per Cacace e Calonego si è già attivato il Copasir, che oggi riunirà l’ufficio di presidenza e potrebbe decidere di convocare in audizione il direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), Alberto Manenti. Va detto che gli esperti di sicurezza internazionale ritengono “non ad alto rischio” la zona della Libia dove sono stati rapiti i due taliani e il canadese, essendo popolata da tribù tuareg alleate di Tripoli. Il fatto è che il territorio, al confine con il sud dell’Algeria e il Niger, è spesso zona di transito delle cellule islamiste legate ad Al Qaida e tutt’altro che libera da infiltrazioni dello Stato Islamico. Dopo il drammatico esito del sequestro dei quattro lavoratori della Bonatti (due dei quali rimasti uccisi in circostanze ancora misteriose a Sabratha, nel marzo scorso, dopo essere rimasti nelle mani dei rapitori per 8 mesi), la Farnesina si è impegnata affinché altri connazionali si arrischino in un Paese dove imperversano gli scontri tra milizie rivali e dove la minaccia del Daesh è assolutamente reale.