All'aumento del timore per la propria incolumità personale e all'aumento delle istanze di protezione, anche solo da danneggiamenti, dei beni propri, corrisponde l'aumento della domanda di mezzi di protezione e di prevenzione. Tra i vari mezzi di protezione un ruolo importante (per basso costo di installazione e di manutenzione e alto potere deterrente) è svolto dalle telecamere di "sorveglianza" usate come strumento passivo per scoraggiare eventuali soggetti male intenzionati.
Questo, però, non esclude il sorgere di problemi "collaterali" all'installazione, anzi se tali telecamere sono installate in un condominio da un singolo proprietario e/o dal condominio come bene comune ex art. 1117 c.c. danno vita a non pochi problemi.
Le problematiche legate all'installazione degli impianti di video sorveglianza in un condominio sono (sostanzialmente) di due tipi: il primo è quello relativo al diritto alla privacy e alla tutela di tale aspetto giuridico, il secondo è legato all'esigenza di contemperare la normativa codicistica del condominio con tale nuovo strumento. In questa sede ci occuperemo solo dell'aspetto civilistico (in senso stretto) del problema tralasciando tutte le problematiche inerenti la c.d. privacy e la tutela della riservatezza (dagli obblighi di nominare un responsabile del trattamento delle immagini, all'obbligo di indicare la presenza di tali strumenti video ecc..).
L'apposizione di telecamere però deve essere analizzata da angoli di visuali diversi: in base al diverso soggetto che procede alla realizzazione dell'impianto. Infatti, è possibile immediatamente rilevare che se questi strumenti sono installati dal singolo proprietario (sono bene in proprietà esclusiva e non sono bene condominiale ex art. 1117 c.c.), al contrario, se l'impianto è realizzato dal condominio (in persona dell'amministratore p.t. dopo decisione dell'assemblea) sono un bene condominiale ex art. 1117 c.c.
Partendo dall'ipotesi in cui l'impianto di video sorveglianza sia un bene privato e, quindi, sia instanstallato da uno dei proprietari (ad esempio a difesa del suo appartamento), grossi problemi non sussistono se (almeno ai fini civilistici) questo impianto è apposto all'interno della proprietà privata del singolo proprietario e "inquadrano" (sorvegliano) esclusivamente la proprietà privata.
La questione tende a complicarsi nel momento in cui il privato installa le telecamere su parti comuni ex art. 1117 c.c., anche se il fine è solo quello di proteggere la proprietà privata, classico è l'esempio della telecamere apposta sul pianerottolo (vicino alla porta di ingresso di uno degli appartamenti) di uno dei piani di un edificio condominiale (ovviamente, presumendo che tale telecamera non serve a "spiare" il via vai di gente su piano e non serve a "spiare" il vicino, ma serve a sorvegliare l'ingresso dell'appartamento del proprietario esclusivo). In questi casi la legittimazione del singolo proprietario ad installare telecamere su un pianerottolo condominiale deriva dal disposto dell'art. 1102 c.c. secondo il quale "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto". Escludendo che le telecamere possano incidere sul decoro del condominio (in quanto o sono a basso impatto architettonico e/o sono ben camuffate) ed escludendo probremi derivanti dal diritto alla riservatezza, ne discende che difficilmente qualche contestazione potrà essere rivolta al singolo proprietario.
Diverso è il problema relativo all'apposizione delle telecamere di sorveglianza effettuata dall'ammnistratore di conodominio dopo una delibera dall'assemblea come bene (impianto) comune ex art. 1117 c.c. Sul punto è opportuno distinguere tra le opinioni sorte prima della riforma del condominio e quanto dispone la nuova disciplina del condominio che sarà attiva dal giugno 2013.
Il codice del 1942 non regolava l'installazione di impianti di videocamere al fine di sorveglianza (soprattutto perchè nel 1942 tale tecnologia non esisteva) quando, recentemente, si sono diffusi questi tipi di impianti come tecnica di protezione, le ricostruzioni giuridiche del fenomeno sono state stanzialmente due: a) creare ex novo un sistema di video sorveglianza rientra nell'ambito delle innovazioni, le quali possono essere deliberate a maggioranza (anche se qualificata); b) la decisione di installare un impianto di video sorveglianza dell'edificio richiede il consenso di tutti i proprietari (e non solo dei presenti in assemblea e non è sufficiente la maggioranza per le innovazioni) i quanto incide (limita) il diritto alla riservatezza e/o alla privacy, di conseguenza, in assenza del consenso di tutti i proprietari l'assemblea non sarebbe neppure legittimata a deliberare, in quanto, l'aspetto la limitazione del diritto alla riservatezza personale non rientra nelle materie di competenza dell'assemblea. Senza considerare l'aspetto penale della questione, infatti, l'apposizione di telecamere potrebbe violare l'art. 615 bis cod. pen. "interferenze illecite nella vita privata".
Oggi, dopo la riforma del condominio, molte di queste obiezioni sono superate perchè l'art. 1122-ter c.c. rubricato come " Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni" dispone espressamente che "Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136" . Dal nuovo articolo si deduce che
– l'installazione di un impianto divideo sorveglianza non è considerata dal legislatore una innovazione (oppure è una innovazione, ma che può essere deliberata con una maggioranza più bassa pari alla metà del valore dell'edificio)
– l'assemblea è competente e legittimata a deliberare
– non sussiste (in astratto) nessun rilievo penale e/o violazione della riservatezza
Cassazione civ. sez II, del 3 gennaio 2013 n.71.
4.3. Nella specie il ricorrente, con il primo motivo, pur facendo genericamente riferimento ad un principio del nostro ordinamento in tema di spese condominiali, ha, in concreto, lamentato a tale riguardo la sola violazione della norma di cui all’art. 1134 cod. civ., dolendosi della non ricorrenza, nella specie, dei presupposti per l’anticipazione e la rimborsabilità di spese condominiali, senza peraltro neppure dedurre come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con il predetto principio; né peraltro allega – come era suo onere – che il supposto principio desunto dall’art. 1134 cod. civ. sia anche un principio informatore della materia né tanto é allegato in relazione al pur invocato principio di tutela di riservatezza e della privacy (v. Cass. 29 aprile 2010, n. 10371 Cass. 22 giugno 2005, n. 13377; Cass., ord. 15 aprile 2005, n. 7872). A quanto precede deve aggiungersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, non sussistono gli estremi atti ad integrare il delitto di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis cod. pen.) nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all’art. 615 bis cod. pen., la quale concerne, sia che si tratti di “domicilio”, di “privata dimora” o “appartenenze di essi”, una particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza (v. Cass., pen., 29 ottobre 2008, n. 44701).