Melania Rea: le tappe del delitto e la sentenza per Salvatore Parolisi
La vita di Carmela Rea, la 29enne di Somma Vesuviana (Napoli) conosciuta da tutti come Melania, si è bruscamente interrotta il 18 aprile del 2011 quando la donna è scomparsa in seguito a una gita con il marito e la figlioletta Vittoria. La cronaca dei mesi successivi porterà ben presto (il 20 aprile) al ritrovamento di un corpo – era appunto quello di Melania – nel bosco di Ripe di Civitella (Teramo). Le indagini degli inquirenti si concentrarono sui racconti di chi per l’ultima volta aveva visto in vita Melania, appunto il marito Salvatore Parolisi. Sarà lui a raccontare di aver visto sua moglie allontanarsi a Colle San Marco per andare alla toilette del ristorante “Il Cacciatore”, anche se nessun testimone confermerà la sua versione. Qualche mese dopo, in seguito anche al commosso saluto di Somma Vesuviana alla giovane donna (ai funerali del 16 maggio parteciparono duemila persone), Parolisi sarà arrestato. Era il 19 luglio del 2011, l’inchiesta passa a Teramo per competenza territoriale e il 2 agosto il gip conferma il fermo del caporalmaggiore. Da quel momento il marito di Melania, sospettato di aver commesso il delitto, non uscirà più dalla galera e non rivedrà più la figlioletta Vittoria che intanto è stata affidata ai nonni materni.
Il processo e la condanna all’ergastolo di Salvatore Parolisi – Il 12 gennaio 2012 il Gup dà l’ok al rito abbreviato per Parolisi e il 27 febbraio inizia il processo che si concluderà il 26 ottobre 2012 con la condanna all’ergastolo del marito di Melania Rea. Salvatore Parolisi, secondo i giudici, ha ucciso la moglie con 35 coltellate: al caporalmaggiore vengono comminate tutte le sanzioni accessorie, dall’interdizione perpetua dai pubblici uffici alla perdita della patria potestà genitoriale. Tutte le richieste dell’accusa sono, insomma, accolte in pieno. Solo in considerazione del rito abbreviato viene escluso l’isolamento diurno. Parolisi, dal canto suo, continua a dire di essere innocente, di non essere stato lui a uccidere la moglie Melania. La successiva, importante, tappa del delitto sarà quella del 2 gennaio 2013 quando il gup di Teramo Marina Tommolini deposita la sentenza della condanna di Parolisi. Emerge una dinamica diversa del delitto rispetto all’ipotesi sostenuta dall’accusa: secondo il magistrato il caporalmaggiore avrebbe ucciso per un rapporto sessuale negato. L’omicidio, insomma, sarebbe stato la conseguenza di uno scatto d’impeto dell’uomo che nulla avrebbe avuto a che fare con le relazioni extraconiugali del caporalmaggiore e che tanto hanno alimentato il dibattito (soprattutto mediatico) sul caso.
Perché Parolisi ha ucciso Melania Rea – Nella ricostruzione del magistrato l’omicidio si sarebbe consumato in pochi momenti: nella pineta di Ripe di Civitella Salvatore avrebbe provato a baciare sua moglie per avere un rapporto ma lei, forse rimproverandolo, avrebbe rifiutato le avances e lui avrebbe reagito all’umiliazione sferrando i colpi mortali con il coltello che aveva in tasca. Nelle motivazioni della sentenza di condanna c’è spazio per molti dettagli, compresi quelli relativi al rapporto extraconiugale tra Parolisi e la soldatessa sua amante. Il Gup Tommolini di fatto esclude che quel rapporto possa aver avuto implicazioni dirette sull’omicidio ma scrive delle telefonate tra i due e della relazione ancora in corso. Per dimostrare probabilmente che Parolisi mentì anche sul rapporto tra i due agli inquirenti, nella sentenza vengono citate il numero di telefonate intercorse tra i due: dal 2 settembre 2009, data presumibile dell'inizio del rapporto, al 27 aprile 2011 Salvatore e l'amante si sono scambiate 5395 chiamate e 4012 sms. Una media, insomma, di 8.9 telefonate al giorno e 6.6 messaggi tali da far dire al giudice che “vi era da circa due anni una stabile relazione sentimentale ancora in corso”.
Emerge la figura di una persona frustrata e umiliata da Melania – Da questa ricostruzione emerge la figura di un uomo fondamentalmente diverso da quella descritta dall’accusa: Parolisi non sarebbe stato un “donnaiolo” ma una persona frustrata che viveva “in una sorta di sudditanza morale e fisica” nei confronti della moglie Melania, era la donna a “dominare” nella coppia soprattutto dopo la scoperta dei tradimenti del marito. Parolisi, nella sua amante, avrebbe trovato quel conforto alle umiliazioni giornaliere subite da Melania e questo dettaglio l’uomo l’ha confidato a un cugino del padre della moglie, Gennaro. Secondo il magistrato avrebbe, infine, fornito una sorta di confessione dell’omicidio proprio con le sue continue bugie, anche in televisione.
Nel tentativo di allontanare i sospetti, ha fornito, con proprie dichiarazioni e interviste televisive, una mole di menzogne (così come era solito fare nella propria vita quotidiana) che, inconsapevolmente, hanno costituito una sorta di confessione, offrendo al giudicante una chiave di lettura che ha consentito di ricostruire la dinamica dell’accaduto, il movente e l’effettiva personalità di un uomo che ha vissuto e vive una propria realtà, che prende spunto dal vero, lo rielabora e, quindi, lo eleva a verità tanto da essersi già assolto dai terribili delitti commessi.
Parolisi non si è pentito e ha avuto un comportamento “subdolo” – Per il giudice, dunque, la pena è legata al mancato pentimento e al comportamento di Parolisi, definito subdolo, che prima l’ha spinto a tentare di depistare le indagini e poi ad aspettare silente il processo. Non manca il riferimento alla figlioletta Vittoria: Parolisi avrebbe cercato di sfruttare la bambina per “fornire, nel ruolo che sta recitando, l’immagine del padre premuroso (pur essendo rimasto assente, per non ben spiegate ragioni, persino quando è nata)”. Con le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo si chiude così l’ultima tappa dell’omicidio di Melania Rea: ora il collegio difensivo di Parolisi ha a disposizione 45 giorni di tempo per presentare il ricorso in appello.