Monti, basta con le giravolte. Ha gioco facile Franco Bechis quando scrive: “Sms, birre, ricercatori: Monti fa retromarcia su tutto” con una strategia che ricorda sempre più quella di certi governi democristiani della “prima repubblica” abili nel mercanteggiare all’infinito provvedimenti che trovavano l’appoggio di alcune lobbies e l’aperta ostilità di altre. Così le liberalizzazioni di taxi e farmacie prima vengono promesse, poi quasi cancellate, poi recuperate all’ultimo minacciando di andarsene, solo per scoprire che le misure entreranno eventualmente in vigore tra alcuni anni e sempre che si siano trovate le intese tra amministratori locali e diretti interessati, campa cavallo. Mentre nel caso di banche e assicurazioni norme “punitive” che mirano a ridurre i costi per correntisti e assicurati vengono formalmente inserite nel decreto “Salva Italia” (quello che ancora una volta ha tartassato i soliti contribuenti italiani facendo poco o nulla per redistribuire più equamente la pressione fiscale o per attivare meccanismi efficaci di disincentivazione e lotta all’evasione) salvo poi essere “corretti” da successivi decreti legge che di fatto svuotano la portata specifica delle nuove norme rassicurando Abi e Ania, molto meno i clienti delle loro associate. E poi giù con un valzer di annunci sulla soppressione delle Province (che nonostante tutto non spariranno), su tasse che potrebbero venir meno (l’Ires, che invece rimane), fondi “taglia tasse” che spariscono dal ddl delega di riordino della materia fiscale (o meglio il cui utilizzo verrà deciso in seguito, molto in seguito, attorno alla fine della legislatura se tutto va bene, ossia nell’estate del prossimo anno), beauty contest sulle frequenze tv che si (ri)trasformano in un’asta che però rischia di andare deserta e comunque dovrà aspettare regole che l’Agcom dovrà stabilire “avendo ascoltato il parere dei competenti uffici Ue”, tasse su sms, “junk food”, “junk drink”, superalcolici e quant’altro che di giorno appaiono, durante il giorno svaniscono come i miraggi, la notte sembrano brevemente ricomparire come fantasmi in pena per poi svanire del tutto allo spuntare del sole il giorno successivo. Critiche fin troppo facili, visto che al di là della volontà più o meno legittima dell’esecutivo di prolungare la sua permanenza (e di singoli ministri o dello stesso premier di “prenotarsi” per ulteriori ruoli di prestigio per la prossima legislatura) resta oggettivamente difficile se non impossibile “riformare sotto le bombe” come efficacemente spiegano alcuni economisti e resta immutato il numero e la “qualità” dei sostenitori dell’attuale governo, quegli stessi deputati e senatori che non sono riusciti (e in molti casi manco hanno provato) a varare alcuna riforma strutturale degna di nota in questa legislatura né in quelle precedenti.
La crisi non dipende dall’articolo 18. L’unica “impuntatura” sembra dunque quella sulla riforma del lavoro e in particolare dell’Art.18 (peraltro anche in questo caso con vari annunci e contro annunci relativi alla portata del provvedimento), che però come ricorda tra gli altri un economista come Carlo Alberto Carnevale Maffè non è l’ostacolo principale all’occupazione, essendo piuttosto il cuneo fiscale a scoraggiare investimenti e assunzioni da parte di qualsivoglia azienda in Italia, nazionale o estera che sia. E’ deluso Carnevale Maffè e non lo nasconde, twittando: la mancata soppressione dell’Irap (prevista dal precedente governo) è una “imperdonabile scelta recessiva” con la quale il governo Monti “perde l’ennesima occasione di dare fiato fiscale alla nuova occupazione”. Non sono d’accordo l’ex rettore della Bocconi e i suoi ministri, tanto che una nota ufficiale di Palazzo Chigi ricorda che la soppressione dell’Irap, oltre ad apparire “contraddittoria con le esigenze di risanamento delle finanze pubbliche e con la politica di rigore finanziario impostata dall'attuale governo”, aprirebbe “un problema molto serio di reperimento delle entrate alternative (il gettito dell'Irap è dell'ordine dei 35 miliardi di euro) e di finanziamento delle Regioni (cui compete il tributo)”. Secca la replica dell’economista: “il gettito fiscale non è la costante di Planck. Taglino 34 miliardi di spesa, subito. Non lo sanno fare? Vadano a casa”. In serata è però lo stesso governo a dover ammettere che il “risanamento” dei conti pubblici a causa della crisi (che va ricordato è da addebitare anche all’inutile accanimento fiscale che l’Europa tutta si sta auto infliggendo nel tentativo di essere improvvisamente “virtuosa” dopo anni di allegra crescita dei deficit pubblici ovunque ma in particolare nel Sud Europa) procederà meno speditamente di quanto previsto. Anzi, a guardar bene per ora i conti sono destinati a peggiorare, col debito pubblico italiano, che nel 2011 si è attestato al 120,1% del Pil, visto a fine anno al 123,4% secondo le ultime stime contenute nella bozza del Def che domani sarà esaminata dal Consiglio dei Ministri, prima di scendere al 121,6% nel 2013 e al 118,3% nel 2014. A questo punto per trovare la tanto agognata crescita cosa servirebbe? Come minimo, visto l’incapacità di agire sul fronte del taglio e riqualificazione della spesa pubblica (che comunque nell’immediato non avrebbe effetti particolarmente diversi dall’incremento delle imposte visto finora e dunque non eviterebbe un ulteriore calo del Pil nei prossimi mesi), occorrerebbe agganciare la ripresa mondiale.
Agganciare la ripresa mondiale è arduo. Peccato che proprio oggi il Fondo monetario internazionale abbia sì rivisto al rialzo le attese sulla crescita economica mondiale (il Pil è stimato a +3,5% quest’anno, +4,1% nel 2013, contro precedenti stime di +3,3% e +4%, ma i commentatori più maliziosi notano: normale un rialzo delle stime di crescita quando si vuole chiedere, come intende fare l’Fmi, un incremento dei contributi al Fondo stesso), ma abbia anche ribadito che nonostante già nel corso dell’anno l’Eurozona (o meglio i paesi membri del Nord Europa) inizierà a registrare segnali di ripresa, per Italia e Spagna (e in generale i “periferici” del Sud Europa) la recessione sarà più profonda di quanto finora previsto. Per il Belpaese la ripresa dovrebbe cominciare solo nel 2013, con un Pil italiano visto in calo dell’1,9% quest’anno e di un ulteriore 0,3% l’anno venturo, a fronte di un’inflazione moderata ma non del tutto spenta (+2,5% a fine 2012, +1,8% a fine 2013) e una disoccupazione in ulteriore aumento (9,5% quest’anno, 9,7% l’anno prossimo). Decisamente non sembra che il problema dell’occupazione e dell’economia italiana sia riconducibile all’Art.18, né che la “cura Monti” possa portare a grandi risultati, in particolare se continuerà a essere incentrata su un aumento dell’imposizione che il ddl delega di riordino della materia fiscale sembra purtroppo confermare, anche in assenza di nuove tasse su messaggini, Coca Cola o supearalcolici. Sempre sperando, naturalmente, che la realtà smentisca le previsioni più fosche e gli imprenditori italiani (in particolare quelli più giovani e ricchi di entusiasmo e inventiva come visto al TEDex Napoli qualche giorno fa) riescano in un nuovo “miracolo italiano”. Perchè di miracolo si tratterebbe.