Se qualcuno avesse chiesto a Guglielmo Epifani di ipotizzare uno scenario dei sogni per il voto delle amministrative, probabilmente avrebbe avuto una proiezione al ribasso rispetto a ciò che è avvenuto alle urne il 26 e 27 maggio. Perché, al netto di ogni considerazione nel merito, sono i dati a restituire la fotografia più chiara ed indicativa: il centrosinistra è avanti in 11 capoluoghi di provincia su 11 nei quali si andrà al ballottaggio ed ha già conquistato al primo turno gli altri 5. In particolare, a Roma, contro le previsioni della vigilia, Marino è nettamente avanti al Sindaco uscente Alemanno; a Siena, malgrado il caos Montepaschi, il candidato del centrosinistra supera abbondantemente il 40%; a Treviso il monarca Gentilini è costretto ad inseguire al ballottaggio e via discorrendo. I numeri, dicevamo. E appunto, vanno presi in considerazione tutti, senza dimenticanze più o meno interessate.
A partire dai dati sull'affluenza che sono spiazzanti, tremendamente significativi. E che testimoniano una volta di più quanto si sia passati dal distacco dei cittadini dai partiti, al disinteresse verso la cosa pubblica e alla cupa sfiducia nelle possibilità di un cambiamento – miglioramento delle condizioni del Paese. Il che equivale, per certi versi, alla crisi del sistema di democrazia rappresentativa, ma che non necessariamente dovrebbe spingerci ad una banale riflessione sulla convergenza verso democrazia diretta / deliberativa (ci sarebbe molto da discutere sulle modalità e possibilità di ampliare la partecipazione popolare ai meccanismi decisionali…). È la crisi della politica, il trionfo dell'indifferenza. Un fiume in piena con Grillo come argine, non come fonte primaria (e qualcuno dovrebbe provare ad interrogarsi su quanto sarebbero tragicamente bassi i livelli di affluenza, partecipazione ed interesse senza la presenza dei 5 Stelle).
Il crollo dell'affluenza e la sfiducia degli italiani nei propri rappresentanti a tutti i livelli, territoriale e nazionale, comportano automaticamente che i saldi siano negativi per tutti i partiti per quanto attiene ai voti ottenuti. Il caso di Roma è emblematico, con il centrosinistra che rispetto a 5 anni fa perde oltre 350mila voti ed il centrodestra che ne lascia per strada addirittura 400mila (rispetto ai consensi dei candidati a Sindaco al primo turno). Ma il discorso vale per la quasi totalità dei Comuni ed investe anche il Movimento 5 Stelle.
In effetti, è inutile girarci intorno, il Movimento 5 Stelle ha raccolto poco. E la delusione è palpabile come testimonia il nervosismo di Grillo e come, con grande onestà intellettuale, Alessandro Di Battista ha confessato ai nostri microfoni. Chiaramente, anche in questo caso, ogni confronto con le Regionali è del tutto improprio, dal momento che tra gli albori della formazione politica ed il terzo partito in termini di rappresentanza parlamentare passa un vero abisso. Quel che è certo è che dopo le politiche e dopo il percorso di legittimazione come "unica e sola opposizione" rispetto al Governo delle larghe intese, i grillini attendevano ben altri risultati. Certo, l'elenco delle scusanti e delle giustificazioni è ampio: "le politiche sono un'altra storia", "la forza territoriale tra i partiti tradizionali ed il Movimento non è chiaramente la stessa", "i media non rendono ciò che fanno i parlamentari e parlano solo di gossip", "Si vota per sé stessi e poi per il Paese, nella nostra bandiera c'è scritto Teniamo famiglia" e via discorrendo. Ma, a volte converrebbe anche fermarsi e riflettere, magari interrogandosi su quanto il "muro contro muro", la ferma volontà di non trattare con i partiti tradizionali" sia stata considerata una scelta giusta da quegli italiani che pure avevano intravisto il cambiamento e non invece un errore politico. Così come la "divisione tra le due Italie", i liberi e forti che votano M5S ed i timidi e molli "tengo famiglia", non sembra il modo più onesto di ammettere i propri errori e soprattutto sembra tradire quello spirito "inclusivo" che è una delle conquiste del Movimento.
Ma, come detto, occorre restare ai numeri, per il momento. E alle regole. Già, perché le amministrative funzionano in maniera piuttosto semplice: chi ha più voti governa. Non esiste il Partito dell'astensione, non esiste il differenziale rispetto alle consultazioni precedenti, non si ottengono seggi consiliari con la percentuale di crescita. Quindi, sofismi a parte, il dato è chiaro, inequivocabile: il centrosinistra porta a casa Sindaci e seggi, il centrodestra rischia anche nelle sue roccaforti, il M5S resta fermo al palo e non replica il "capolavoro Parma". E, a pensarci bene, le ragioni sono quelle note da sempre: la scelta dei candidati (in tutta onestà, alzi la mano chi conosceva De Vito prima di questo voto…non che sia necessariamente un fattore di discriminazione, ma rende l'idea del "peso" delle candidature sul territorio); la forza delle strutture territoriali (il M5S ha ancora molto da imparare, al di là delle frasi fatte sul lavoro dei meetup, dei volontari e via discorrendo); il difficile processo di consolidamento del consenso (ne abbiamo parlato qui, riconoscendo il gran lavoro dei 5 Stelle negli ultimi mesi); la grande inesperienza puramente "politica" dei candidati e militanti 5 Stelle; la forza della macchina organizzativa del centrosinistra e l'ostinazione con la quale i militanti sostengono Pd – Sel malgrado delusioni e mal di pancia.
E se resta difficile pensare che "nessuno ha perso", allo stesso tempo è chiaro che stiamo perdendo tutti. Perché le nostre scelte, quelle di chi vota e partecipa al dibattito democratico, sono sempre più svilite dall'astensionismo, dall'indifferenza, dal qualunquismo che amalgama idee, speranze e sogni. Stiamo perdendo tutti e non c'è davvero nulla di cui gioire.