Le armi italiane fra lobby, politica ed export in tutto il mondo
C’è chi dice che la riforma della legittima difesa, approvata alla Camera e presto all'esame del Senato, non cambi in modo sostanziale il decreto-legge già esistente. La specificazione per cui la difesa sia sempre legittima, con l’aggiunta dell’avverbio, non toglie ai magistrati la propria discrezionalità giuridica, così come il parametro di proporzionalità offesa-difesa non cade con la riforma. C’è invece chi sostiene che la Lega stia avvicinando l’Italia ad una sorta di far west, aprendo all’utilizzo della violenza privata e rendendo più accessibile la compravendita di armi nel nostro paese.
Il dibattito sull’uso delle armi non è nuovo al Parlamento, specialmente da quando il segretario della Lega e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, strizza pubblicamente l’occhio alle lobby delle armi. Lo scorso 11 febbraio, in piena campagna elettorale, Salvini, candidato premier del Carroccio, avrebbe firmato un impegno alla fiera delle armi di Vicenza con i rappresentanti della lobby per cui prometteva di coinvolgerli direttamente ogni volta che fosse arrivato in Parlamento un provvedimento sulle armi. Più specificatamente, l’accordo era stato preso con il Comitato Direttiva 477, un’associazione che tutela i cittadini in possesso di armi da fuoco e che lavora fianco a fianco con i più importanti fabbricanti in Italia.
Le armi in Italia tra politica ed economia
A settembre 2018 è arrivato il decreto legislativo che rende più facile possedere un’arma da fuoco. Secondo il provvedimento viene allargato il gruppo di modelli detenibili da un privato, in cui vengono inclusi ora anche esempi di derivazione militare. Inoltre, aumenta il numero di proiettili consentiti, sebbene comunque non sarà possibile avere caricatori che contengano il numero più alto di colpi legali. Infine, si può compilare la denuncia di detenzione attraverso una semplice e-mail mentre non è più obbligatorio informare il partner della presenza di armi in casa.
Il Comitato Direttiva 477 collabora direttamente con Anpam, Conarmi e Assoarmieri, che si occupano rispettivamente dell’industria, del settore artigianale e della rappresentanza dei commercianti. Questi sono i punti di riferimento di un mercato che rappresenta quasi l’1% del Pil italiano e che, solo in ambito sportivo, genera affari per circa cento milioni di euro all’anno. Il Comitato, facendo da ponte tra politica e mercati, con il sostegno aperto di Salvini porterebbe in Parlamento importanti interessi economici legati al mondo delle armi.
L'export delle armi italiane
Del resto, il nostro paese non è estraneo al business degli armamenti. L’Italia occupa infatti il nono posto nella top 10 della vendita di armi nell’intero pianeta. La classifica è stata stilata nell’ultimo rapporto del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Quello delle armi è un mercato consolidato e in continua crescita che nutre ormai da anni le casse di Roma, responsabile dell’export del 2,5% delle armi di tutto il mondo. In cima alla classifica vi sono gli Stati Uniti, che esportano il 34% delle armi internazionali, seguiti dalla Russia con un 22% e dalla Francia con il 6,7%. Seguono Germania (5,8%), Cina (5,7%), Regno Unito (4,8%), Spagna (2,9%) e Israele (2,9%). Troviamo quindi l’Italia, davanti all’Olanda che chiude la classifica con il 2,1%. La classifica si riferisce ad armi utilizzate in campo bellico, vale a dire aerei, navi, carri armati e missili, e riguarda gli anni fra il 2013 e il 2017.
Ma chi compra queste armi? La maggior parte dell’equipaggiamento bellico prodotto in Italia finisce negli Emirati Arabi Uniti, in Turchia e Algeria. Si tratta dei paesi che acquistano più armi a livello internazionale. Altri paesi che usufruiscono della produzione italiana sono poi Israele, Marocco, Qatar, Kuwait, Pakistan, Giordania, Taiwan, India e Singapore, ma anche le più vicine Polonia e Norvegia. La maggior parte delle armi che l’Italia produce finiscono quindi tra Medio Oriente e Nord Africa, nelle zone geopolitiche fra le più instabili al mondo.
La tendenza ad esportare sempre più verso paesi che non appartengono alla Ue o alla Nato spesso ha significato vendere armi a regimi per cui il rispetto dei diritti umani è pressoché inesistente. In particolare, si è parlato molto delle armi italiane vendute all’Arabia Saudita, implicata in una guerra che sta devastando lo Yemen e in cui le violazioni di diritti umani e i crimini di guerra contro civili sono stati ampiamente documentati. La vendita di armi a Riad piuttosto che ad Abu Dhabi grava su una delle emergenze umanitarie più tragiche dei giorni nostri, per cui il Parlamento europeo ha già sollecitato un embargo sugli armamenti destinati all’Arabia, condannando fortemente i finanziamenti ad una tale carneficina.
Lo scorso anno, la Rete Italiana per il Disarmo, insieme all'European Center for Constitutional and Human Rights, ha presentato alla procura della Repubblica Italiana una denuncia perché si avvii un'indagine sulla responsabilità penale degli amministratori della produttrice di armi Rwm Italia che hanno esportato in Yemen. La società produce bombe aeree del tipo MK82, MK83 e MK84 in Sardegna per conto della multinazionale tedesca Rheinmetall. La denuncia fa particolare riferimento ad un bombardamento avvenuto nel 2016 diretto contro una casa privata. Sul luogo dell'attacco, in cui sono morti sei civili, sarebbero stati rinvenuti resti di bombe prodotte proprio da Rwm Italia.
Le precisazioni di Unarmi
Giulio Magnani, presidente e legale rappresentante dell'Unarmi (Unione degli Armigeri Italiani APS, già Comitato Direttiva 477), precisa alcuni punti. A partire dalla legittima difesa: "La legge non ha alcuna attinenza con l'acquisizione ed il possesso di armi, la cui disciplina non viene in alcun modo modificata. Non si capisce quindi la correlazione tra l'istituto della legittima difesa e un presunto aumento della vendita di armi". Per quanto riguarda l'impegno sottoscritto da Salvini, Unarmi segnala che "non è altro che un impegno elettorale assunto nei confronti di una particolare categoria di cittadini su sollecitazione di un'associazione che li rappresenta. Non si tratta inoltre in alcun modo di un ‘accordo', posto che non vi è alcuna obbligazione reciproca ma si tratta di un mero impegno di carattere morale". Ancora, in relazione al Dlgs 014/2018, Magnani sottolinea che "non è stato allargato il gruppo di modelli detenibili da un privato, ma al limite alcune categorie di armi richiedono ora ulteriori requisiti ed adempimenti mentre per tutte le altre categorie nulla è variato, motivo per cui è vero l'opposto ossia che da settembre è complessivamente più complicato detenere armi. Le armi ‘di derivazione militare' (che non sono in alcun modo assimilabili alle armi da guerra o tipo guerra) già in passato potevano essere acquistate e detenute e rientrano tra quelle il cui possesso è stato dal decreto ulteriormente limitato. Altrettanto errato è sostenere che sia stato aumentato ‘il numero di proiettili consentiti', dato che i limiti al possesso di munizioni sono rimasti inalterati. Quanto infine all'avviso dei familiari conviventi, assolutamente nulla ha modificato il decreto". Infine, una precisazione sul Comitato Direttiva 477, che "non è né è mai stato né si può in alcun modo considerare come un ‘ponte tra politica e mercati', posto che l'unico scopo dell'associazione è la difesa di diritti e legittimi interessi dei privati cittadini che detengono armi e che non rappresenta in alcun modo soggetti diversi, men che mai di natura produttiva o commerciale. Né quindi si può assolutamente sostenere che l'associazione ‘porterebbe in Parlamento importanti interessi economici legati al mondo delle armi'".