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Lavoratori licenziati, i giudici assolvono Foodora: “Non sono dipendenti”

Il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso di sei lavoratori di Foodora licenziati dopo aver partecipato a una mobilitazione per chiedere più diritti.
A cura di Davide Falcioni
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Il ricorso presentato da sei lavoratori di Foodora che avevano intentato una causa civile contro la società tedesca di food delivery è stati respinto dal Tribunale di Torino. I rider contestavano l'improvvisa interruzione del rapporto di lavoro dopo le mobilitazioni del 2016, organizzate proprio nel tentativo di conquistare un giusto trattamento economico e normativo. “Se questo sistema di lavoro è stato ritenuto legittimo, si espanderà”, hanno commentato la sentenza i legali dei rider, Giulia Druetta e Sergio Bonetto, annunciando l’intenzione di appellarsi alla sentenza.

I giudici torinesi hanno deciso di accogliere la tesi dell’azienda, i cui avvocati hanno sostenuto l’assenza di ogni vincolo di subordinazione, fondamentale per dichiarare illegittima l’interruzione del rapporto di lavoro. “Da un lato manca l’obbligo di lavorare – ha sostenuto l’avvocato Ornella Girgenti, che con i colleghi Paolo Tosi e Giovanni Realmonte difendeva Foodora – e dall’altro l’obbligo di far lavorare. Erano i rider a decidere quanto e quando dare disponibilità e l’azienda non si è mai vincolata a far lavorare. Non c’è scritto da nessuna parte che il rider deve offrire una disponibilità minima”, ha spiegato Girgenti. “Molti fattorini, all’ultimo, soprattutto nei giorni di pioggia in cui le richieste di consegne sono tantissime, rinunciavano ai turno, senza preoccuparsi di cercare un sostituto, senza scusarsi”. Per quanto riguarda le chat, strumenti utilizzati dai responsabili Foodora per relazionarsi con i lavoratori, “si trattava solo di esortazioni, molte volte fatte in modo scherzoso e con qualche faccina. Chi è stato sospeso dalla chat, e a noi risultano tre casi, ha utilizzato parolacce”.

Secondo gli avvocati Druetta e Bonetto, che curavano gli interessi dei lavoratori,  “i rider di Foodora erano sfruttati, monitorati dall’azienda in ogni loro mossa. E chi si è lamentato è stato espulso”. “Una discriminazione evidente”, ha spiegato il legale. “Il rapporto che legava i rider all’azienda aveva le caratteristiche del lavoro subordinato, anche se loro erano inquadrati come collaboratori autonomi. I ragazzi dovevano essere reperibili in maniera costante e continuativa e, tramite un’applicazione, erano monitorati, tracciati e valutati in ogni loro mossa. L’app era una sorta di braccialetto elettronico con cui prendere punti per riuscire a mantenere il proprio posto in azienda”.

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