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Se ti laurei e vai al lavorare all’estero guadagni 500 euro in più

1.300 euro netti al mese dopo quattro anni dalla laurea. All’estero invece sono 1.800. Il conto lo ha fatto l’Istat, ma con dei distinguo di area geografica, disciplina e, sembra, sopratutto genere: le donne nel Belpaese guadagnano meno degli uomini.
A cura di Biagio Chiariello
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Chi si laurea in Italia e resta qui a lavorare guadagna circa 1300 euro al mese dopo quattro anni. Chi decide invece di emigrare si mette in tasca 500 euro in più, come si evince da una ricerca dell'Istat sull’inserimento professionale dei laureati (relativi al 2011) curata da Carlo Barone, docente di Sociologia all’Università di Trento, di cui parla il Corriere della Sera. Un'elaborazione, quella dell'istituto nazionale di statistica, che è pur sempre una media, ma che ben lascia intendere le differenze tra il Belpaese e l'estero in quanto a compensi:

 Il risultato è che, a quattro anni dal titolo, chi è andato all’estero prende quasi 1.800 euro netti al mese (1.783, per l’esattezza), mentre chi è rimasto in Italia ne guadagna 1.300. Certo, con dei distinguo di area geografica e disciplina: nel Nord Italia lo stipendio medio è di 1.374 euro al mese, al Centro di 1.306, nel Sud e nelle isole scende a 1.218. Le lauree sanitarie sono quelle più redditizie al Nord e al Centro, mentre al Sud rende di più l’ingegneria informatica.

Secondo Barone non c'è molta differenza tra lauree umanistiche e scientifiche in Italia, come tradizione vorrebbe: "ad eccezione di Ingegneria e Medicina, al Nord un veterinario prende 27 euro in più al mese di un laureato in Lettere". Il divario invece esiste per quel che concerne il genere: le ragazze guadagnano in tutti i settori meno dei ragazzi. La certezza, però, sempre essere quella degli stipendi italiani: bassi. "Colpa dei pochi posti qualificati che offre il nostro mercato del lavoro – dice Barone – sono rimasti uguali a 30 anni fa, ma i laureati nel frattempo sono aumentati. E anche se c’è stato un calo degli iscritti negli atenei negli ultimi tre-quattro anni, comunque i ragazzi con un titolo universitario sono più dei posti a disposizione per loro. Soprattutto in certi ambiti, come quello umanistico o sociale. A causa di questo squilibrio i laureati si trovano a fare gli impiegati o gli educatori nelle cooperative, lavori che quindici anni fa si ottenevano con il diploma".

Il problema è strutturale: bisogna creare più posti di lavoro per laureati, investendo in ricerca e nel settore della cultura – continua Barone -. Non è possibile che nel Paese più ricco di arte al mondo un laureato in Conservazione dei beni culturali non trovi lavoro o venga pagato una miseria".

E così assistiamo alla fuga di cervelli che riesce di avere serie ripercussioni sociali: i ragazzi che non lavorano pesano sulle famiglie e la collettività. La soluzione per Barone? "È necessario investire in politiche attive per il lavoro, cioè servizi di formazione continua e di ricollocazione, per mantenere sempre attivi i giovani sul mercato".

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