Giosuè, Guido e Dora esistono davvero. Assomigliano a Roberto Benigni, Nicoletta Braschi e Giorgio Cantarini ma hanno altri occhi, altre mani, altri colori.
Giosuè, Guido e Dora esistono davvero e si chiamano Bilal, Amir e Aicha. Sono siriani, libici o ciadiani. I loro treni non hanno locomotive ma prue e cime. I loro nazisti non vestono uniformi grigie e stivali neri ma tute e cerate per il vento.
Come Giosué anche il piccolo Bilal non sa perché si trovi su una spiaggia in piena notte. Non sa perché suo padre lo stia portando su quella barca. Non sa perché debba salire insieme a tutta quella gente. Ha paura di quegli uomini con la tuta che continuano a gridare di muoversi. Suo padre gli ha detto di non preoccuparsi, che è solo un gioco, che i soldi che ha dato a quell’uomo col cappuccio servono per parteciparvi. “Me lo dici babbo che gioco è?” gli chiede Bilal. Amir gli risponde che si tratta di un gioco a premi, che il primo premio è una casa tutta nuova con una televisione grande grande in una città dall’altra parte del mare. Gli dice che a consegnarlo sarà un uomo tutto vestito di bianco. Bilal ripensa alla loro vecchia abitazione. Non vorrebbe una casa nuova, quella che aveva in fondo gli piaceva, ma poi sorride perché non ha mai avuto una tv tutta per lui, ne vorrebbe una perché le uniche immagini in movimento di cui ha memoria erano nei suoi sogni. Quelli che faceva ogni sera guardando il cielo fuori la sua stanza illuminarsi a giorno. Bilal non ha mai avuto paura di quelle strisce perché suo padre gli aveva detto che erano fuochi d’artificio.
Amir ha detto a Bilal che lui e Aicha sono sicuri di vincere perché la loro famiglia è la più unita di tutte ma per farlo devono accumulare punti e i punti si fanno rispettando le regole. Chi non le rispetta o si addormenta viene messo in acqua per essere svegliato e poi raccolto da un’altra barca che lo riporta a casa. Bilal vuole far felice suo padre anche se ha freddo, anche se il mare diventa sempre più nero e le ultime luci sono ormai un ricordo lontano. Durante la traversata qualcuno inizia a non sentirsi bene, c’è chi ha fame, chi ha sete. Dei bimbi piangono ma Bilal resta impassibile, suo padre gli ha detto che chi piange perde punti.
Sono in tanti su quella barca, non c’è spazio per muoversi. Il silenzio è interrotto solo dalle preghiere e dalle onde del mare. Poi tutto a un tratto le urla: un uomo anziano è riverso su un lato. Un cerchio vuoto si forma intorno a quel corpo senza vita, le donne gridano, mentre in due prendono quel corpo senza vita e lo gettano in mare. “Papà che succede a quell’uomo?”, “Te l’avevo detto Bilal – risponde Amir – chi si addormenta viene messo in acqua e poi preso da un’altra barca che lo riporta a casa”.
Bilal resta sveglio, con gli occhi aperti. Abbraccia Aicha, si stringe alla sua gonna. Finché ad un tratto quella barca che li trascinava scioglie la cima e scappa via. Bilal chiede al padre cosa stia succedendo e il padre gli dice che fa parte del gioco e che ora ci sono dei punti bonus in palio per il primo che vede il sole all’orizzonte. Allora Bilal corre sulla prua della nave per guadagnare quei punti. Resta lì piantato per quasi due ore ed è solo nell'attimo in cui si volta indietro per gridare “Il sole!” che si accorge che c'è molto più spazio sulla nave e che suo padre non c'è più. C’è solo sua madre che piange. "Dov'è papà?" chiede "Si è addormentato" risponde Aicha. Lo fa con gli occhi madidi, quelli di Bilal, invece, sono asciutti perché sa che piangere vorrebbe dire perdere punti. Ed è mentre stinge forte a sé sua madre che una corvetta della Capitaneria di Porto avvicina la loro imbarcazione. Al timone c'è un uomo vestito di bianco, Bilal grida: "Abbiamo vinto!".
Nell'attimo stesso in cui il sorriso di suo figlio squarcia il mare Aicha ripensa a quel film che aveva visto tanto tempo fa, prima della guerra, prima delle bombe. Si gira verso Bilal e prima di lasciarsi andare a un pianto disperato gli dice: “Questa è la tua storia, questo è il sacrificio che tuo padre ha fatto, questo è stato il suo regalo per te”.