Le ultime modifiche alla disciplina dei licenziamenti sembrano in qualche modo aver riportato il sereno tra l'esecutivo ed i partiti che lo sostengono, in particolare il Partito Democratico. Malgrado una certa prudenza dimostrata dal segretario Bersani, è abbastanza evidente che le modifiche alla prima formulazione della riforma del lavoro, in particolare per quanto concerne l'eventualità che resti il giudice a valutare l'opportunità del reintegro per i licenziamenti senza giusta causa (nel caso di "manifesta insussistenza"), accolgono nella sostanza i rilievi dei democratici e servono anche a "distendere" il clima in vista della discussione parlamentare. Saranno infatti le Camere a dire l'ultima parola sulla bozza proposta da Fornero e Monti, i quali nella conferenza stampa di presentazione non hanno mancato di sottolineare il carattere "storico", addirittura epocale dell'intervento sulle norme che regolano il mercato del lavoro. Sgombrato il campo anche dal (finto) equivoco sui dipendenti pubblici, per i quali, previa valutazione di ambiti, modalità e tempi di armonizzazione, si applicano le stesse pratiche dei dipendenti "privati". Insomma, tutti contenti allora? Beh, non proprio. E per una serie di ragioni che in parte rispondono al modo in cui si è arrivati all'ultima bozza presentata, in parte ad un equivoco di fondo che attiene al modello di mercato del lavoro che le diverse "fazioni" hanno in mente.
Ma soprattutto rimangono in sospeso due punti cruciali: la presenza di un minimo retributivo per le diverse tipologie di contratto e la definizione di un "contratto di inserimento" (magari con tutele progressive) o di altri meccanismi che agevolino in qualche modo le assunzioni. Il tutto senza considerare le ipotesi "pessimistiche" delle imprese e di parte degli analisti che vedono nel "ritorno del potere discrezionale – decisionale" un aumento dell'incertezza nelle procedure di licenziamento individuale. E così, mentre sta per partire il "tormentone taglio alla spesa – basta tasse" (che presumibilmente monopolizzerà l'attenzione per le prossime settimane), il punto è capire quanto e come la bozza presentata dal Governo dopo questo lunghissimo tira e molla, dopo dichiarazioni, smentite e cambi di orientamento, uscirà dall'esame parlamentare. Perché se il Governo ha deciso di arginare la propria "deriva decisionista" (ove mai…), ciò che è abbastanza evidente è che neanche i tecnici duri e puri possono in alcun modo sfuggire al paradigma della "politica italiana" che vuole che non esistano riforme senza compromessi al ribasso, che i grandi annunci restino sempre sulla carta e che l'unico filo conduttore sia il confuso accavallarsi di voci, slogan e proclami. Intendiamoci, chi scrive è convinto che l'idea di riformare il mercato del lavoro senza discutere con parti sociali e soggetti interessati è semplicemente folle, ma il problema resta legato ad una legittimazione di fondo che questo Governo non ha. Perché non eletto dai cittadini. Perché privo di una piattaforma politico – ideologica intorno alla quale costruire un modello di società, dalla quale partire per compiere scelte importanti,, verso le quale far convergere la partecipazione dei cittadini.
Finché si trattava di garantire la rigorosa messa in pratica di misure economiche decise "altrove" (inutile girarci intorno) e di dare una parvenza di credibilità internazionale al nostro Paese, il Governo Monti ha assolto bene il proprio compito. Ma che i tecnici abbiano la legittimazione e la forza per mettere in cantiere riforme strutturali di cruciale rilevanza, questo è tutt'altro che scontato. E le prove sono sotto gli occhi di tutti. Dalla riforma del lavoro al caos sulle pensioni, fino ad arrivare al pasticcio sulle spese della difesa e al mai seriamente affrontato tema delle riforme istituzionali (dal bicameralismo alla giustizia, passando dalla legge elettorale e via discorrendo). Che possa piacere o meno, questo è ancora il tempo della politica (purtroppo di quella stessa politica che ha ridotto il nostro Paese in questo stato). E Monti è chiamato a fare una scelta, perché un supplente non è mai credibile fino in fondo.