Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto legge sulle pensioni, che contiene anche la risposta alla sentenza della Consulta. L’ennesima, non ultima c’è da giurarci, tappa di una storia cominciata con l’intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il blocco delle perequazioni sulle pensioni disposto dalla legge Fornero. Una vera e propria bomba, che avrebbe comportato un esborso economico di circa 18 miliardi di euro per le casse dello Stato, disinnescata parzialmente dalla scelta del Governo di rimborsare solo una parte degli aventi diritto.
Dunque il decreto sulle pensioni garantirà un rimborso “una tantum”, a partire da 750 euro per chi ha una pensione di 1700 euro lordi, fino ad arrivare ai 278 euro per chi guadagna 2700 euro lordi, cifra che si azzera completamente per chi percepisce oltre 3200 euro lordi. Dal 2016, al termine cioè del regime transitorio disposto dalla stessa legge Fornero, andrà in vigore un nuovo meccanismo di indicizzazione, che garantirà una rivalutazione di 180 euro l’anno per chi guadagna 1700 euro al mese, 100 euro per chi ne guadagna 2200 e così via. Le risorse arriveranno dal “tesoretto” (la differenza tra 2,5% e 2,6% di deficit, tendenziale – programmatico), per un totale di 2 miliardi e 180 milioni di euro ed investiranno una platea di 3,7 milioni di pensionati. Resteranno fuori dai rimborsi, invece, circa 650mila pensionati che guadagnano più di 3200 euro lordi al mese.
Una impostazione che darà vita ad una serie di ricorsi e di contestazioni (il Codacons ha già annunciato azioni legali e probabilmente lo stesso faranno i sindacati), dal momento che il Governo ha sostanzialmente scelto di “interpretare” la sentenza della Consulta, introducendo valutazioni di “equità” e “opportunità”. Giusto o sbagliato, costituzionale o meno, saranno altri giudici a stabilirlo.
Renzi ha comunque provato a giocare la sua partita, trasformando il rimborso in “bonus” (il #BonusPoletti da scrivere “tutto attaccato”) e insistendo sulla necessità di “riparare i disastri del passato”. Del resto, la posizione in cui si è venuto a trovare il Presidente del Consiglio era decisamente scomoda, con la necessità di intervenire su una materia delicatissima e con margini di manovra pressocché nulli. Va detto, in effetti, che il Governo in carica non ha alcuna responsabilità sulla scelta effettuata dal Governo Monti (certo, in molti ricordano il sostegno dei renziani alla manovra della Fornero…ma qualcuno ha dimenticato le condizioni del Paese nel 2011 / 2012 e la “fiducia” riposta nel Governo dei supertecnici?) e si è trovato “costretto” ad intervenire con celerità e senza avere a disposizione risorse consistenti.
Certo, far passare come “bonus” un rimborso dovuto ed elargito in maniera parziale e forse insufficiente è operazione decisamente discutibile. E il tentativo del Presidente del Consiglio di limitare i danni in vista delle imminenti elezioni regionali è abbastanza evidente. Insomma, Renzi prova ad imporre una sua narrazione, legittima, forse, ma del tutto strumentale.
Ma la questione non è solo terminologica, poiché riflette l’intero sistema di rapporti fra Stato e cittadini e chiama in causa il complesso dei ragionamenti sulla questione dei “diritti acquisiti”.
La domanda a cui ci si è trovati a dover rispondere, insomma, era: è equo rimborsare "tutti", anche coloro che ricevono assegni enormi? È giusto che i lavoratori attuali (perché il nostro sistema pensionistico è a ripartizione, quindi siamo noi a pagare gli assegni attuali) si accollino il peso dei rimborsi ai pensionati d'oro? Un diritto è un diritto, si dirà. E le sentenze della Corte Costituzionale sono autoapplicative, quindi inutile discuterne ancora, si aggiungerà. C'è però anche una seconda interpretazione, che merita di essere riportata (al di là delle tifoserie politiche, che lasciano davvero il tempo che trovano).
Perché, come ha scritto Alessandro Penati su Repubblica, con la sentenza "la pensione è diventata un diritto economico garantito per sempre dalla Costituzione: neppure lo Stato, una volta che l’abbia concesso, lo può più toccare". Ma, continua, "ciò che sembra ineccepibile è invece incoerente: lo Stato concede a chi sottoscrive il suo debito pubblico il diritto a incassare gli interessi e ricevere il rimborso del capitale alla scadenza; se lo Stato rischia l’insolvenza perché non ha risorse sufficienti per onorare il proprio debito, i Diritti Acquisiti, costituzionalmente garantiti o meno, devono essere subordinati a quelli dei creditori. Non è una questione giuridica, ma di buon senso". E su questa linea gli dà manforte anche l'economista Mario Seminerio, che ricorda come "stiamo parlando di una misura, quella della deindicizzazione parziale delle pensioni, che era a termine e del tutto blanda, rispetto alla gravità della situazione che stavamo vivendo quando fu adottata, e che oggi viene presentata come l’atto di affamare un popolo intero, inclusi quelli con rendite pensionistiche di 4-5.000 euro mensili, e oltre. Perché lo reclama “l’adeguatezza del tenore di vita”, sia chiaro".