Un anno dopo l’approvazione al Senato della Repubblica, la proposta di legge per introdurre il delitto di tortura nell’ordinamento italiano è in discussione alla Camera dei deputati e dovrebbe essere definitivamente convertito in legge (anche se vanno segnalati gli ormai consueti rallentamenti, legati soprattutto al "collegamento" con l'abuso d'ufficio e alla specificità dei reati commessi dalle forze dell'ordine). Il testo da cui partirà la discussione è quello frutto della lunga mediazione a Palazzo Madama: pene severe per la nuova fattispecie di reato, divieto di espulsione o respingimento di una persona verso “uno Stato nel quale si ritiene che rischi di essere sottoposta a tortura”, nessuna immunità diplomatica per gli stranieri condannati o processati per tortura ed ergastolo per la morte procurata da sevizie.
Analizzando la proposta di legge si può apprezzare la definizione della nuova fattispecie, aggiunta all’articolo 613 del codice penale:
Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Se dal fatto deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate. Se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima. Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.
Con l’articolo 613 – bis si è dunque definito il caso particolare in cui la tortura sia commessa da un pubblico ufficiale. Su tale punto al Senato c’è stato un lungo braccio di ferro, con Sinistra Ecologia e Libertà che ha a lungo chiesto che il reato di tortura fosse collegato all’abuso di potere (come ha spiegato De Cristofaro, “la tortura attiene precisamente agli arbitri del potere, come quelli che si verificarono a Genova nel luglio del 2001 o come quelli che sono costati la vita a Stefano Cucchi e Federico Aldovrandi”). La maggioranza ha invece optato per il meccanismo delle aggravanti, sancendo però pene severe (613 ter) anche per il pubblico ufficiale che “istiga a commettere il delitto di tortura”: anche se il delitto non fosse poi commesso, scatterebbe il carcere da 6 mesi ad un anno.