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Opinioni

La Svizzera affonda l’euro: chi ci guadagna?

A sorpresa la Banca nazionale svizzera stamane ha tolto il pavimento al cambio euro/franco, che è così precipitato in pochi minuti da 1,20 a 1. Il costo del denaro è stato parallelamente ridotto ed è sempre più negativo: da -0,25% a -0,75%
A cura di Luca Spoldi
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Nel mondo della grande finanza internazionale poche sono le certezze: che “il dollaro sia sempre il dollaro”, come ebbe a dire l’amministratore delegato di un gruppo finanziario internazionale per cui ebbi modo di lavorare anni fa alludendo alla forza derivante dal ruolo di valuta rifugio del biglietto verde, appare ciclicamente vero, ma anche no. Che l’euro sia destinato a rimanere il fondamento di un’unione che da monetaria si faccia bancaria prima e politica poi è un auspicio di alcuni, ma sembra un anatema per altri. Che il petrolio possa oscillare sopra i 100 dollari al barile sembrava certo sino a un anno or sono, ma ora c’è chi pensa non lo vedremo mai più a simili livelli, mentre altri si limitano ad osservare come probabilmente occorreranno diversi anni. Finora però una “certezza” aveva attraversato indenne tutte le tempeste di questi ultimi anni e si chiamava franco svizzero.

Pilotato dalla Banca nazionale svizzera (Bns), il franco bloccato sin dal 2011 in un cambio fisso nei confronti dell’euro con un “floor”, un pavimento, a quota 1,20 (ossia un euro doveva poter comprare sempre almeno 1,20 franchi svizzeri, in caso contrario la Bns interveniva sul mercato vendendo franchi e comprando euri, non necessariamente rappresentati da valuta ma molto più frequentemente da titoli di stato, ad esempio Oat francesi). In questo modo il cambio negli ultimi tre anni non si è quasi mosso dalla soglia di 1,20 appunto, mentre la Bsi accumulava crescenti quantitativi di titoli espressi nella valuta unica europea, arrivando anche ad accumulare un utile record di 38 miliardi di franchi in termini di incremento di valore delle proprie riserve in valuta estera, a fine 2014.

Ma niente è certo in questo mondo e stamane la Bns “a sorpresa ha annunciato: che rimuoveva ipso facto il floor, per cui l’euro poteva scendere sotto quota 1,20 (o, che è poi dire la stessa cosa, il franco poteva rivalutarsi contro la valuta unica europea) e, per compensazione, che i tassi ufficiali sul franco stesso, già negativi (-0,25% annuo) venivano ulteriormente tagliati a -0,75% (con il corridoio di riferimento del tasso Libor a 3 mesi a sua volta rimodulato verso il basso, dal precedente range tra +0,75% e +0,25% al nuovo range tra -0,25% e -1,25%), così da smorzare il prevedibile rimbalzo del franco sull’euro. Niente da fare: nel corso di una mattinata convulsa l’euro è crollato sino a 0,75-0,85 contro franco svizzero prima di recuperare la parità e muoversi attorno a 1-1,05 contro franco, riducendo così la perdita secca al 15%-20% contro l’iniziale 35%-45%.

Chi perde e chi guadagna da tale decisione e soprattutto cosa ci si può attendere nel prossimo futuro? Gli investitori svizzeri possono da oggi in avanti indebitarsi a tassi negativi (se sono banche) o prossimi allo zero (se sono privati, ad esempio per accendere nuovi mutui), potendo per di più sfruttare la recuperata forza della propria divisa per acquistare asset all’estero (magari qualche marchio del made in Italy) o comunque denominati in valute estere. Per contro chi si fosse indebitato in franchi svizzeri, ad esempio per investire in bond ad alto rendimento (dai T-bond decennali Usa ai Btp italiani, oltre che in emissioni obbligazionarie corporate di mezzo mondo) ha appena visto sfumare anni di guadagni e si lecca le ferite.

Ancora attonite, ma già qualche reazione risentita sta filtrando sulla stampa svizzera, le maggiori società rossocrociate (tutte esportatrici da Swatch a Roche, da Novartis a Nestlè) che avevano evidentemente impostato il proprio budget 2015 sulla base di un cambio franco/euro di 1,20 ed ora rischiano di veder crollare le proprie vendite estere o di dover in tutto o in parte riassorbire la rivalutazione per non perdere gli ordini. Chi sta sfregandosi le mani, anche se per ora non può dirlo apertamente, sono per ragioni diametralmente opposte le banche italiane e le reti di promozione finanziaria, che già stavano aspettando, a giorni, la sigla dell’accordo definitivo in materia fiscale tra Italia e Svizzera che renderà operativa la norma sulla “voluntary disclosure”.

Secondo le prime stime il provvedimento (in sostanza l’ennesimo condono fiscale) avrebbe potuto veder rimpatriati fino a 80-100 miliardi di euro di capitali italiani esportati illegalmente e che ora, se detenuti in asset denominati in franchi, potrebbero tornare addirittura moltiplicati. Meno fiduciose sono invece lavoratori e aziende italiane: a parte che la Svizzera non è di per sé un grande mercato, il rischio è che dopo la decisione della Bns si intensifichi il fuoco di fila sia contro i lavoratori transfrontalieri e gli immigrati in genere, sia contro i prodotti importati, che potrebbero (anche se non è certo) essere colpiti da dazi doganali visto che la Svizzera non fa parte dell’Unione Europea.

Quanto ai miei colleghi analisti, stanno ancora cercando di capire perché la Bns si sia decisa all’improvviso a questa mossa e cosa possa voler dire in chiave europea. La sensazione è che, dopo che ieri la Corte di Giuistizia Ue ha rigettato i ricorsi tedeschi contro il programma Omt, il lancio di un quantitative easing possa essere annunciato da Mario Draghi già il prossimo 22 gennaio. Sinora il mercato ha speculato che possa trattarsi di un programma da massimi 500 miliardi, ma alcuni esperti come Alessandro Fugnoli non escludono colpi di coda di Berlino che nei fatti si è già arresa all’idea di partecipare al rifinanziamento del debito del Sud Europa, ma di fronte alla propria opinione pubblica continuerà a nicchiare e mostrarsi contraria ad un eccessivo “allargamento” dei cordoni della borsa, cercando dunque di limitare il quantitativo, la tipologia di titoli acquistabili e la durata stessa del programma, che alla fine rischierebbe così di non entusiasmare i mercati né rivelarsi realmente risolutivo per la crescita.

Ulteriori possibili ripercussioni, in termini di aumentata volatilità dei cambi e incertezza nell’andamento dei tassi, si avrebbero se ora la Bns cercasse di limitare i danni acquistando dollari contro franchi svizzeri, rafforzando così il biglietto verde (già forte di suo) e inducendo la Federal Reserve a rivedere, eventualmente, la sua tempistica in merito al rialzo dei propri tassi d’interesse, al momento attesi tra giugno e luglio. Ultimo ma non ultimo, la mossa svizzera sta ovviamente rinfocolando le polemiche sull’euro visto ora troppo forte, ora troppo debole da quelle forze politiche che sfruttano i sentimenti anti-unitari indotti o rafforzati da una crisi gestita male sia come “timing” sia come “ricette” economiche e fiscali dalle autorità europee.

Il rischio in questo caso è che chi fino a ieri addossava alla forza dell’euro la causa di tutti i nostri guai possa con disinvoltura additarne ora l’eccessiva debolezza come altrettanto identico principio di ogni male, confidando sul fatto che investitori e contribuenti abbiano la memoria corta e le idee molto confuse su cosa sia e a cosa serva una valuta e sui meccanismi attraverso cui i cambi influenzano la nostra vita di tutti i giorni. Permettete un piccolo aiuto: pensate a come un cambio forte aumenti la spinta deflazionistica dei prezzi (e viceversa a come un cambio debole possa alimentare l'inflazione), cosa che potreste giudicare un guaio o una benedizione a seconda che pensiate che l'inflazione debba risalire nei prossimi trimestri oppure no. Che poi siate in grado di prevedere correttamente il futuro è altro discorso e dipende dal fatto che abbiate oppure no una sfera di cristallo funzionante.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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