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Opinioni

La strana campagna elettorale e le (reali) insidie al Governo del Cavaliere

A poche ore al termine della campagna elettorale cresce la tensione tra i vari schieramenti politici e si affacciano diverse ipotesi sull’esito delle sfide cruciali di Napoli e Milano.
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AMMINISTRATIVE2011

Manca ormai pochissimo al termine di una delle campagne elettorali più strane degli ultimi anni. Già, perchè tra la guerra in Libia, la morte di Osama Bin Laden, lo scontro fra il Presidente del Consiglio ed i magistrati e le polemiche in tema di immigrazione, l'attenzione che media ed opinione pubblica hanno dedicato alla competizione elettorale delle amministrative 2011 è stata considerevolmente minore di quanto fosse lecito attendersi. In effetti, si può dire con una certa tranquillità che i tanti temi nell'agenda politica sembravano quasi con il riuscire a far passare in secondo piano la rilevanza della verifica elettorale, nonostante i 13 milioni di elettori alle urne e malgrado in ballo ci sia l'amministrazione di 4 fra le maggiori città italiane.

Del resto, basta andare indietro solo di qualche settimana per apprezzare il tentativo di "ridimensionamento" della valenza del test ("Sono elezioni locali"), oppure i timori che la campagna elettorale portasse via ai nostri rappresentanti "troppe energie che dovrebbero essere impiegate per la risoluzione dei tanti problemi della nazione". Insomma, una "scelta" che sembrava accontentare entrambi gli schieramenti, alle prese con i soliti problemi di coesione interna (emblematici i casi delle comunali di Napoli e di Reggio Calabria in casa centrosinistra e i "bisticci" fra Lega e Pdl in tante città del Nord Italia), ma che nelle ultime settimane è stata completamente "sconfessata" dai principali leader politici. Alla volontà di parte consistente del Partito Democratico di trasformare i probabili successi di Torino e Bologna nella prova evidente del calo di consenso del Governo, si è aggiunta "in maniera sospetta" la decisione di Berlusconi di "raccogliere il guanto della sfida" e ammettere che il voto del 15 e 16 maggio è "politico".

In particolare è chiaro che il Cavaliere ha scelto di impegnarsi in prima persona realizzando che, al di là delle strumentalizzazioni di sorta, più che per la stabilità del Governo (che non è stata minata dalla crisi economica, dalle gaffes internazionali, dalla svolta di Fini, dagli scandali e dallo scontro istituzionale senza precedenti), il test rappresenta un vero pericolo per l'alto valore (al tempo stesso materiale e sibolico) della posta in palio. Non è un mistero che l'epicentro della preoccupazione dei berluscones sia l'elezione del Sindaco di Milano e come ben messo in evidenza da Ilvo Diamanti:

"non può permettersi di perdere. Per questo è sempre lì, un giorno sì e l'altro pure. Mister B ha trasformato la consultazione in un referendum pro o contro se stesso […] teme i pericoli che provengono dall'interno. Dalla sua maggioranza. Dal tessuto sociale ed economico della città. Milano, infatti, è solcata da segni visibili di malessere. La maggioranza di centrodestra è plurale e incoerente. La Lega: vorrebbe guidare direttamente Milano. Perché non è possibile costruire la Padania senza governarne la capitale".

Se la Moratti dovesse fallire, non è azzardato prefigurare un vero (il primo forse) terremoto nel centrodestra, già in fibrillazione sul passaggio di testimone alla guida della coalizione, con il Carroccio che potrebbe di colpo far saltare accordi di vecchia data ed alzare molto più in alto l'asticella delle "pretese". Ecco spiegato in parte anche il nervosismo del Sindaco uscente, protagonista di un inopportuno siparietto nel faccia a faccia con Pisapia, con un'accusa strumentale e "senza diritto di replica" nei confronti del rivale (cha ha annunciato querela). D'altra parte il centrosinistra considererebbe una mezza vittoria finanche il raggiungimento del ballottaggio (a Milano come a Napoli), soprattutto perchè, come ben evidenziato da Carlo Bertini su La Stampa:

Anche se al secondo turno Milano e Napoli risultassero perse non sarebbe un dramma, anzi. Persino un dissidente interno come Paolo Gentiloni ammette che «ci può stare», pur augurandosi che nelle due città i voti al Pd superino «la soglia psicologica del 20%». E se in questa partita Berlusconi si gioca la faccia, come si è visto dalla messa in campo di una precisa strategia comunicativa, Bersani gioca di più su quella dei candidati sindaci che su una regia nazionale della campagna, facendosi forte di una tradizione che spesso ha premiato la sinistra quando ha puntato sul buon governo locale più che sulla drammatizzazione dei conflitti nazionali.

Insomma, la partita si annuncia ancora molto lunga e complessa, con tanti interessi in gioco e le peculiarità a livello locale (nella giornata di ieri vi parlavamo della surreale campagna elettorale di Napoli) che potrebbero incidere in maniera significativa sul già precario equilibrio politico complessivo. Intanto, come ben evidenziato da Concita De Gregorio, ci tocca assistere ancora una volta al costante scivolamento del linguaggio e dei modi della comunicazione politica sul piano dello scontro ad ogni costo, del dileggio e dell'insulto dell'avversario:

È molto difficile, in tutto questo, ascoltare e parlare. Si può solo urlare, agitarsi e dire enormità. Il linguaggio dei gesti e delle parole è diventato osceno. Oscene le prime pagine dei giornali che combattono morti con altri morti esibendoli come figurine, oscene le menzogne che reiterano a carico di chi si ostina ad esibire i fatti, osceni gli orchi che si scamiciano in tv e quelli applauditi per quanto tagliente sa essere il loro dileggio delle persone perbene.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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