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Opinioni

La ripresa? Non cercatela in Europa

I dati diffusi dall’Ocse relativi all’ultimo trimestre del 2012 confermano la fase recessiva europea e la frenata della crescita mondiale. Secondo gli esperti di Carmignac la crescita nel 2013 riguarderà gli emergenti…
A cura di Luca Spoldi
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Premio Nobel per la pace all'Unione Europea

Le prospettive economiche continuano ad essere a dir poco depresse in tutta Europa, dopo che già nel quarto trimestre del 2012 è stato proprio l’Unione europea, con un calo del Pil medio dello 0,5% (ma a livello di singoli paesi la Germania ha sorpreso negativamente con un -0,6%, a dimostrazione che la crisi è sistemica e la “ricetta tedesca” drammaticamente insufficiente oltre che sbagliata nei tempi e nei modi, mentre l’Italia ha continuato a perdere terreno con un Pil in calo dello 0,9%) ad aver inciso sul Pil del’intera area Ocse, calato dello 0,2% dopo il 0,3% segnato nei tre mesi precedenti. Un calo trimestrale che non si registrava dal primo trimestre 2009 quando nel pieno della crisi economico-finanziaria seguita al fallimento di Lehman Brothers il Pil Ocse crollò del 2,3% (mentre in Italia il Pil cedette il 2,49%, tornando d’un colpo ai livelli del 1980). Per l’intero 2012 le cose non sono andate tanto meglio, col Pil dell’area Ocse che ha segnato un incremento dell’1,3%, in frenata dal +1,9% segnato nel 2011, mentre se si guarda la variazione annua (quarto trimestre 2012 su quarto trimestre 2011) il dato è ancora più modesto, +0,7% (dal +1,2% di fine settembre e rispetto ad un crollo del 2,7% del Pil italiano, fanalino di coda tra tutti i paesi dell’area Ocse).

Ma questi sono tutti dati “laggard”, diffusi con ritardo, che dunque molti di coloro che mi leggono già in qualche misura conoscono avendone sperimentate le conseguenze sulla propria pelle. L’importante è dunque capire cosa ci prospetta il futuro, a fronte di una classe politica (ed economica) che da anni naviga a vista ed appare incapace di offrire una qualsiasi visione e prospettiva più che di breve termine. Posto che come ho già segnalato ieri i vincoli esterni (Ue) ed interni (lobbies e caste varie) sono tali che probabilmente nessun risultato elettorale, salvo sorprese clamorose, modificherà realmente il quadro a breve e medio periodo (per farlo occorrerebbe rinegoziare a livello europeo la “ricetta” economico-politica da seguire, o raggiungere con maggiore celerità obiettivi quali un’unione bancaria e fiscale, e pertanto politica, che appaiono tuttora molto lontani nel tempo), può essere interessante leggere che ne pensa una delle case di gestione distintesi in questi ultimi anni per la qualità delle proprie previsioni (e conseguenti decisioni di gestione), la francese Carmignac Gestion.

In una nota diffusa oggi agli investitori gli uomini del gruppo transalpino sottolineano come la Bce di Mario Draghi abbia “allontanato il rischio sistemico di implosione dell’Eurozona, contribuendo alla ripresa degli asset a rischio” (ossia in particolare dei Bonos spagnoli e dei Btp italiani). “Di fronte ad una congiuntura mondiale indebolita dal perdurare della riduzione dell’effetto leva nelle economie avanzate e all’aggravarsi della crisi europea, la Banca centrale europea è riuscita, sotto l’impulso del proprio presidente, a fare capitolare l’ortodossia tedesca e ad allontanare il rischio di implosione dell’Eurozona, optando per un’interpretazione più flessibile e pragmatica della propria missione”. La Bce, notano gli esperti, “si è quindi allontanata, grazie all’intelligenza tecnica e politica di Mario Draghi, dal suo rigido mandato antinflazione” in qualche misura avvicinandosi di più alle strategie seguite dalla Federal Reserve statunitense, dalla Bank of England e dalla Bank of Japan “nel perseguire un obiettivo di reflazione attraverso una creazione di moneta senza precedenti”.

Se ha evitato il peggio Draghi, come ha ammesso lo stesso banchiere centrale non più tardi di ieri, non è ancora riuscito a riattivare la crescita dell’economia reale: “La situazione europea ci pare comunque poco promettente, con una recessione che si protrarrebbe nel 2013” ed un consenso (che parla di un calo dello 0,1% del Pil Ue nell’arco dell’anno) che agli esperti “pare troppo ottimista” visto che “la Germania ha chiuso il 2012 su una nota di debolezza” e che “nei prossimi mesi, la Francia dovrebbe rendersi duramente conto degli effetti negativi prodotti dal massiccio rialzo dell’imposta sul capitale sia sugli investimenti privati che sui consumi delle famiglie agiate”. L’unico elemento positivo per la crescita, notano gli uomini di Carmignac, “riguarda l’ottima accessibilità al credito, resa possibile dal forte ribasso dei tassi di interesse registrato dal mese di luglio. Occorre tuttavia che le imprese desiderino investire”, cosa che al momento non è. Il cavallo è stato insomma portato a bere ma di fronte all’acqua (utilizzata in gran parte dalle banche per risolvere in parte i propri problemi come detto più volte) al momento si rifiuta ancora di berla.

Non solo: “Questa fragilità economica europea viene accentuata dall’apprezzamento dell’euro contro quasi tutte le altre valute” dato che “la forza dell’euro contribuisce a soffocare l’economia europea”. Questa realtà, secondo gli esperti, “spingerà prima o poi la Bce a prendere iniziative più energiche per evitare all’area di essere la prima vittima delle politiche di svalutazione competitiva promosse dai principali partner dell’universo sviluppato, qualora dovessero perdurare”, a partire ad esempio dal Giappone (che lo scorso fine settimana ha evitato per il rotto della cuffia una censura ufficiale da parte del G20 riunitosi a Mosca). Se negli Stati Uniti l’economia “gode di una ritrovata competitività e sa di poter contare, per il momento, sul sostegno incondizionato della Federal Reserve” che, “oltre a reinvestire i rimborsi e gli interessi derivanti dalle cedole reinvestite nel proprio portafoglio, acquisterà ogni mese sui mercati obbligazionari 40 miliardi di dollari in prestiti immobiliari e 45 miliardi di buoni del Tesoro” la situazione più promettente continua ad appartenere ai paesi emergenti con la Cina “che ha concluso il periodo di decelerazione auspicato dalle autorità” che “non tornerà ad un tasso di crescita a due cifre, ma le previsioni per i prossimi anni si attestano su tassi compresi tra il 7% e l’8%”.

L’universo emergente dispone nel complessoancora di margini di manovra per affrontare un’'eventuale situazione di stallo negli Stati Uniti, tanto più che, India esclusa, l’inflazione non costituisce un problema rilevante. La situazione economica complessiva dell’universo emergente ci pare sana e perfettamente in grado di beneficiare di un’attività statunitense rivitalizzata dal raggiunto accordo fiscale”. Metteteci pure che il Giappone (paese col quale, oltre che con gli Usa, la Ue sta cercando di costituire un'area di libero scambio) “sembra in grado di poter contribuire in modo più significativo all’economia mondiale nel 2013” ed ecco che lo scenario rimane quello di un’Europa che arranca per eccesso di “virtuosismo” fiscale e creditizio, di una ripresa Usa non eccezionale ma comunque sufficientemente robusta e di un’ulteriore corsa alla crescita da parte dei mercati emergenti. Il trend secolare è chiaro, quali strategie l’Italia e la Ue sapranno mettere in campo per cercare di trarne profitto anziché limitarsi ad esserne dominate molto meno, per ora.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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