È in discussione al Senato della Repubblica il disegno di legge di riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo, che porta la firma del ministro dello Sviluppo Economico Guidi e del ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan. Si tratta del complesso provvedimento di riforma del servizio pubblico elaborata dal Governo e oggetto di contestazioni e polemiche già durante l’iter in Commissione. Il voto finale è atteso per la serata di venerdì, anche se bisognerà capire quale piega prenderà la discussione in Aula (e già il Governo è dovuto ricorrere alla fiducia sul Dl Enti Locali).
Il ddl modifica innanzitutto il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, ridefinendo le tempistiche del contratto nazionale di servizio (che avrà durata quinquennale) e confermando la struttura delle redazioni locali e nazionali per le “produzioni specifiche”. Poi il ddl esamina la spinosa questione della governance della Rai.
Il consiglio di amministrazione passerà da 9 a 7 membri (i quali eleggeranno il proprio Presidente, sentito il parere della Vigilanza Rai), scelti sulla base di una lista “composta da 4 membri eletti dal Parlamento, ovvero due eletti dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato (è necessario che i parlamentari si candidino a tale incarico, pubblicando online la loro domanda), 2 membri di nomina governativa designati dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze e un membro designato dall’assemblea dei dipendenti”. Il mandato dei membri del Cda durerà tre anni. La Commissione ha poi introdotto una modifica che assicura “la presenza di genere” e “l’equilibrio” tra componenti caratterizzati da elevata professionalità e comprovata esperienza in ambito giuridico, finanziario, industriale e culturale, stabilendo anche i motivi di incompatibilità o decadenza dalla carica.
L’amministratore delegato sarà nominato dal consiglio di amministrazione su proposta dell’assemblea dei soci (dunque sarà di fatto il Governo ad indicare il nome) e avrà una serie di compiti e limitazioni: assicurare la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali e le direttive formulate e adottate dal consiglio di amministrazione; firmare gli atti e i contratti aziendali; provvedere alla gestione del personale dell’azienda e nominare i dirigenti di primo livello, acquisendo per i direttori di rete, canale e testata, il parere obbligatorio del consiglio di amministrazione (per i direttori di testata il parere è vincolante se espresso con la maggioranza dei due terzi); provvedere all’attuazione del piano industriale, del preventivo di spesa annuale, delle politiche del personale e dei piani di ristrutturazione. L'ad resterà in carica per tre anni e potrà essere revocato dal Cda (che ne determinerà anche lo stipendio); nel caso in cui sia già dipendente Rai è tenuto a dimettersi.
Va detto che i ritardi nella presentazione del testo hanno già creato più di una problematica: l’attuale Cda è infatti “scaduto” a maggio e la proroga il 5 luglio; di conseguenza con un emendamento il Governo ha proposto l’elezione del Cda con la Gasparri (che prevede 9 membri, due dei quali nominati dal Tesoro e 7 dalla Vigilanza).
Cambierà il canone Rai
Per quel che concerne il finanziamento della Rai e delle emittenti locali il Governo ha chiesto la delega, impegnandosi a “garantire l’indipendenza economica della Rai” e a “disciplinare il finanziamento dell’emittenza locale per la funzione di pubblico interesse svolta” (l’inserimento del finanziamento delle emittenti locali è stato inserito in Commissione e non era nel testo diffuso in un primo momento dal Governo).
L’esecutivo si è impegnato a rivedere la normativa in materia di canone di abbonamento Rai: la tassa cambierà radicalmente struttura, “in considerazione dell’alto livello di morosità riscontrata, dell’incremento delle disdette e dell’analisi costi – benefici”. L’idea potrebbe essere quella di legare la tassa al reddito e non è ancora tramontata l’ipotesi di legarla a qualche utenza. Non è invece chiaro da dove arriveranno i soldi per il finanziamento pubblico dell’emittenza locale.
AGGIORNAMENTO: Il Governo è andato sotto al Senato sugli emendamenti soppressivi della delega sul canone. Decisivi i voti di Fi, Sel e M5S.