La protesta per il latte, cosa sta succedendo in Sardegna
In Sardegna si butta via il latte di pecora. Il problema è rappresentato dal prezzo troppo basso: un litro di latte viene pagato agli allevatori anche meno di 60 centesimi al litro. Circa un milione di litri finora è andato perduto, dopo essere stato lavorato: è stato dato in beneficienza, oppure in pasto agli animali, o peggio ancora è stato gettato per strada. Pastori e agricoltori, insieme ai rappresentanti della Coldiretti, si sono dati appuntamento sotto Montecitorio. I pastori regalano pecorino ai presenti. Sono sul piede di guerra perché la materia prima che producono, dalle loro parti, è sottopagata.
Uno striscione recita ‘Rispetto per la tragedia dei pastori sardi', e attorno ci sono bidoni di latte accatastati. In un altro cartello si legge: ‘Pastori alla fame: commissariamo il Consorzio del pecorino Romano' si legge in un cartello. "Attendiamo che l'associazione industriali proponga a tutti i pastori della Sardegna il prezzo del latte che non ha voluto né trattare né modificare in questi mesi rimanendo sordo e indifferente alle proposte avanzate", ha denunciato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, sottolineando che "merita una risposta chi si sveglia alle 5 del mattino tutti i giorni per mungere e ottenere da ogni pecora circa un litro di latte al giorno che viene pagato con una elemosina che non copre neanche i costi di allevamento".
Perché i pastori protestano in Sardegna
Ma cosa sta succedendo davvero in Sardegna? I pastori sardi minacciano di proseguire con le iniziative di protesta, bloccando oltre alle strade anche porti e aeroporti, per creare disagi anche in vista delle elezioni regionali del 24 febbraio. A rischio ci sono 12mila allevamenti della Sardegna, dove pascolano 2,6 milioni di pecore, il 40% di quelle allevate in Italia, che producono quasi 3 milioni di quintali di latte, destinato per il 60% alla produzione di pecorino romano (Dop). La colpa Coldiretti la attribuisce soprattutto al Consorzio di tutela del Pecorino Romano Dop, ritenuto responsabile del crollo del mercato che ha messo in ginocchio gli allevatori. Per questo ora ne chiede il commissariamento. "Non sono veri imprenditori – ha continuato Prandini – quegli industriali che se non riescono a vendere il pecorino che hanno deciso di produrre scaricano i costi della loro incapacità sull'anello più debole: i pastori. Le remunerazioni offerte non sono solo indegne ed offensive per i pastori ma anche illegali". Le norme sulla concorrenza, secondo quanto prevede l'articolo 62 della legge 1 del 2012, nato proprio per combattere simili speculazioni, vietano "qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, ivi comprese, ad esempio qualsiasi patto che preveda prezzi particolarmente iniqui o palesemente al di sotto dei costi di produzione".
Il latte di pecora prodotto nel territorio viene impiegato non solo per il Pecorino romano, ma anche nella produzione di Pecorino sardo Dop e di Fiore sardo Dop. Il problema è legato alla sovrapproduzione. Il mercato del Pecorino romano negli ultimi anni aveva visto un'impennata, anche nelle esportazioni. Poi le vendite sono crollate di colpo: da un prezzo di vendita di 7,5-8 euro al chilo è passato a 5,4. Inizialmente i pastori venivano pagati con 1,20 centesimi a litro, dopo il calo sono scesi a 55-60 centesimi. Ora la quantità di Pecorino romano che il mercato è in grado di assorbire è di 280mila quintali, mentre l'industria casearia ne ha prodotti 340mila.
Adesso si cerca una mediazione con il governo. L'assessorato dell’Agricoltura della Regione Sardegna ha proposto di fissare una forbice di prezzo fra gli 80 e gli 85 centesimi al litro e chiesto al governo di drenare nell'isola 25 milioni di euro del fondo ovicaprino, che servirebbero a far risalire il prezzo del latte. Coldiretti ha invece proposto un prezzo di acconto di 70 centesimi al litro, da rivedere ogni trimestre o semestre sulla base dei dati produttivi reali. L'associazione ha citato l'analisi dell'Ismea, secondo cui i prezzi riconosciuti ai pastori a gennaio 2019 sono stati pari a 56 centesimi di euro (Iva esclusa), a fronte di costi variabili di produzione saliti a 0,70 centesimi (Iva esclusa).
"In gioco c'è il futuro di migliaia di famiglie – è la denuncia di Coldiretti – di un settore economico strategico per il made in italy e per l’intera Sardegna dove il 70% del territorio è destinato al pascolo dal quale gli animali traggono alimento ma secondo l'associazione negli ultimi dieci anni in Italia è scomparso un milione di pecore per colpa di scelte industriali irresponsabili".
Anche la Chiesa è intervenuta: "I Vescovi, a nome della Chiesa che è in Sardegna, seguono con viva e partecipe preoccupazione la vibrante protesta dei pastori contro la politica del prezzo del latte. A tutti gli allevatori della nostra isola desideriamo far giungere il nostro affetto e la nostra convinta adesione alle ragioni che hanno determinato una protesta così estrema. Desideriamo fare appello agli industriali del settore e ai diversi livelli di responsabilità amministrativa e politica perché, ognuno per la sua parte, favoriscano la ripresa di una concertazione responsabile, ispirata a equità e giustizia, che superi ogni visione miope e di parte e riconosca la giusta dignità del lavoro nell'agropastorizia".