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La non scelta di Napolitano è lo specchio del fallimento di un Paese

La “non decisione” di Giorgio Napolitano arriva dopo un mese di tensioni, divisioni e spaccature: tutto sommato è il frutto di un Paese diviso, ancora all’affannosa ricerca di cambiamento (e stabilità).
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Napolitano-elezione

Ha ripreso in mano la situazione, come gli veniva chiesto di fare praticamente da tutti i maggiori leader politici. Ha provato ad assecondare il progetto di Bersani, ma senza grandi aspettative. Ha provato a tenere a freno "l'esuberanza" dei 5 Stelle, ma senza cambiare la loro valutazione di fondo su politica, Paese e partiti. Solo con centristi e Pdl è riuscito a dialogare, senza intoppi né distanza. Alla fine si è arreso anche lui: il Paese non è "politicamente governabile". Troppo forti le divisioni tra i partiti, troppo frammentato il consenso, con leader politici troppo dipendenti dai sondaggi e dagli isterismi collettivi e partiti in via di liquefazione, oscurati da alchimie, strategie e logoranti guerre di posizione interne. E' la politica italiana nel marzo 2013 ad essere dimissionaria. E ad aver anteposto da tempo la propria sopravvivenza (o, nel caso del Movimento 5 Stelle, la propria crescita in termini di consenso) al benessere del Paese ed al futuro degli italiani.

E però, il modo in cui Napolitano prova ad uscire dal gruppo è un ennesimo compromesso al ribasso. Perché maschera un fallimento con l'ennesimo "oggetto non identificato" della politica italiana: due gruppi di lavoro in grado di elaborare proposte, su cui poi i partiti dovranno comunque esprimersi. Un modo per rassicurare i mercati ed impedire l'ennesimo tracollo in termini di fiducia, certo. Ma in ogni caso la testimonianza ultima e definitiva della impossibilità di uscire dallo stallo, se non ridando la parola agli italiani (anche se, ovviamente, questo Napolitano non può dirlo e, in fondo, spera sempre che intorno all'elezione del nuovo Capo dello Stato sia possibile costruire un'alleanza in grado di guidare il Paese per un tempo sufficiente a fare riforme economiche e legge elettorale).

Insomma, il Paese non è governabile. E' solo traghettabile, da una fase di transizione all'altra. Da una guida dimissionaria (Monti) ad una che nascerà già commissariata. E la certificazione arriva dalla "non scelta" di Napolitano, ultimo atto di una Presidenza che è stata il trionfo della vecchia politica fatta di mediazioni e compromessi. E, cosa angosciante, a ben guardare (in queste condizioni) era il massimo che Napolitano potesse fare.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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