Non c'è dubbio che le lacrime del ministro Fornero resteranno il "simbolo" della prima (controversa) manovra varata dall'esecutivo tecnico a guida Mario Monti. E se non c'è nessun motivo per diffidare del sincero turbamento emotivo del ministro (che non riesce neanche a pronunciare la parola "sacrifici"), allo stesso tempo è necessario recuperare lucidità ed analizzare con calma e rigore (appunto) lo schema disegnato dal titolare del Welfare e dai suoi colleghi nel decreto salva Italia.
Sui contenuti della manovra ci siamo già espressi e del resto, salvaguardando quelli che sono inequivocabilmente degli atti dovuti (anche in considerazione delle pressioni della Comunità Europea), non serve poi andare molto in profondità per evidenziare i punti dolenti dell'impianto complessivo. E non ci riferiamo soltanto alla questione della riforma delle pensioni, sulla quale è comunque doveroso ammettere che la posizione dei sindacati appare legittima, non fosse altro che in relazione alla essenziale funzione di rappresentanza dei lavoratori e di tutela dei diritti acquisiti. E se (in generale) davvero si tratta di sacrifici doverosi e di provvedimenti inevitabili, che almeno siano ispirati al principio minimo dell'equità e a quello logico dell'efficacia.
Senza girarci troppo intorno, sono questi i due aspetti che lasciano perplessi. La manovra, così come è stata pensata, costruita ed impostata, risponde ad un criterio di equità? Ed inoltre, le misure messe in campo, basteranno a tirarci fuori dalla crisi e ad evitare una drammatica fase recessiva?
Un'analisi di questo tipo non può che partire dai tagli e di contro dalle risorse messe in campo. Il colpo di scure del Governo si abbatterà ancora una volta sui trasferimenti agli enti locali, con le Regioni che saranno costrette a "recuperare altrove" circa 4 miliardi di euro (escludendo le risorse che rientreranno con l'aumento dell'addizionale regionale irpef). Come lo faranno è presto per dirlo, tuttavia se gli ultimi anni di tagli lineari hanno insegnato qualcosa, tutto lascia presagire che a farne le spese sarà il comparto dei servizi e dell'assistenza, con trasporti, sanità e cultura che finiranno con il subire i contraccolpi maggiori. Ed è finanche superfluo sottolineare nuovamente cosa questo comporti in termini di maggior spesa per i cittadini. In tal senso si inserisce anche la decisione contestatissima di deindicizzare le pensioni all'inflazione (quelle superiori a 950 euro al mese), "un provvedimento odioso perché colpisce anche persone che non sono più in grado di generare redditi per compensare il taglio dei trasferimenti", come notato da Boeri e Panunzio su LaVoce.
Ma non solo. Perché finanche i tagli doverosi ai costi della politica, rischiano di generare pericolosi effetti a catena, con tantissimi dipendenti pubblici (non facoltosi milionari, ma in gran parte lavoratori da 20mila euro annui) per i quali scatteranno meccanismi di trasferimento e di mobilità assistita. E se tanto rigorosa è sembrata l'azione del Governo nell'azzerare gli "enti inutili" (ci sarebbe tanto da dire sul pressappochismo con il quale si liquida l'operato di alcuni enti territoriali), allo stesso tempo è finanche inverosimile la timidezza con la quale (non) si è affrontato il tema delle consulenze, (non) si è agito sulle agenzie, sulle partecipate dallo Stato e via discorrendo. Per non parlare nemmeno dei mancati interventi in altri settori, paradossalmente immuni al rigore e alla determinazione montiana: come è possibile, ad esempio, non intervenire negli sprechi della Difesa, con anacronistici investimenti e il sempre più insensato e costoso coinvolgimento nelle missioni militari all'estero?
Ma del resto, l'intera questione può riassumersi nella vicenda "patrimoniale". L'idea di chiedere "di più a chi può dare di più" era stata rilanciata con forza proprio da Mario Monti nel suo discorso di insediamento e sembrava non potersi sostanziare diversamente che con lo strumento della patrimoniale, una vera e propria tassa di scopo. La scelta dell'esecutivo di una semplice spuntatura (tramite l'imposta di bollo e la tassa sul lusso) rappresenta una forzatura evidente e contrasta con quel principio di equità sociale che sembrava il cardine della nuova linea. Ma c'è di più. Se nemmeno un governo formato esclusivamente da tecnici, dunque teoricamente libero da condizionamenti o vincoli stringenti (siano di carattere politico, clientelare o di "altra natura"), riesce a farsi carico di un provvedimento dall'enorme valenza simbolica e pratica allo stesso tempo, allora davvero resta forte la tentazione di rifugiarsi nel tomasiano "tutto cambia affinchè nulla cambi". E, detto in altri modi, siamo davvero sicuri che fosse necessario un Governo di emergenza "guidato dalle migliori professionalità del nostro Paese" per mettere qualche paletto di rinforzo al pericolante edificio italiano?
Certo, resta la considerazione del risicato tempo a disposizione del Governo (in carica da neanche un mese) a parziale giustificazione di quella "mancanza di coraggio nell'affrontare alcuni temi" (come quello dell'evasione fiscale, contro la quale c'è davvero poco) e di quella "riluttanza ad affrontare la questione della solidarietà intesa come riconoscimento dell'allargamento della forbice reddituale" e delle enormi implicazioni che comporta nella vita quotidiana di milioni di italiani. Ma di tempo, ce lo ripetono da mesi ormai, sembra essercene davvero poco in ogni caso…