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Opinioni

La marcia su Roma di Salvini (che non preoccupa Matteo Renzi)

Con il Movimento 5 Stelle ai margini del dibattito politico (e alla ricerca di una “nuova” identità), la sinistra in stallo ideologico e culturale (e persa nel sogno di “modelli stranieri”), Salvini e Meloni in piena lepenizzazione, Renzi può davvero dormire sonni tranquilli. L’alternativa al bonapartismo bonario e rassicurante non c’è e, con queste premesse, non ci sarà nel prossimo futuro.
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La manifestazione di Roma, promossa da Matteo Salvini, con la partecipazione non solo di Fratelli d’Italia ma anche di una serie di sigle dell’estrema destra (Casapound su tutte), ha uno slogan chiaro, semplice, diretto: “Renzi a casa”. Più che un obiettivo, date le circostanze, è un vuoto slogan o una semplice valutazione di merito, che però chiarisce una volta di più l’ampiezza della riorganizzazione a destra, considerando che il leader leghista ha da tempo scelto di giocare su un doppio terreno: da un lato contendere la leadership di ciò che resta del centrodestra a Berlusconi, dall’altro diventare il referente di ciò che invece cresce a destra.

Quest’ultima operazione è indubbiamente la più interessante, perché la riorganizzazione (e trasformazione) dello spazio politico a destra può cambiare gli equilibri politici attuali. Salvini ha avuto l’indubbio merito di capire prima di altri quanto spazio vi fosse a destra, superando il livello territoriale della sua proposta politica e rielaborando in qualche misura le basi “ideologiche” di ciò che restava della Lega Nord, dopo scandali, inchieste e purghe che avevano azzerato il vecchio gruppo dirigente e svelato quanto i leghisti fossero ormai "parte del sistema". Salvini ha di fatto reinventato la Lega, cambiandone connotati e riferimenti politico – ideologici. Il cambiamento è radicale, come nota Gustavo Piga analizzando, sul Foglio, il programma economico – politico di Salvini: “Gianfranco Miglio è stato messo in soffitta e al suo posto si sono imposti Marine Le Pen e Vladimir Putin. Il passaggio dal federalismo al nazionalismo autarchico è una piroetta di quelle che non possono passare del tutto inosservate […] Nazionalismo, statalismo ed autarchia. Una triade concettuale che ricorda gli scritti del giovane socialista Mussolini”.

La costruzione del consenso è diventata aspetto centrale del progetto e Salvini non si risparmia, facendo leva sulla sua “tecnica comunicativa”, che fonde empatia, realismo, linguaggio schietto e rifiuto del politically correct, in un omogeneizzato di populismo, qualunquismo e benaltrismo. Il risultato è un messaggio che colpisce al cuore e alla mente di una certa tipologia di elettorato e mira “alla mobilitazione intorno a pochi ed elementari concetti, alla polarizzazione di rabbia, insofferenza e frustrazione verso il nemico comune (sia l’euro, il rom o il migrante)”. È un modello già sperimentato con grande successo da Marine Le Pen, che accarezza i bassi istinti delle persone, innalza steccati e barriere, individua nemici precisi e riporta nel conflitto sociale elementi come l’appartenenza etnica o religiosa.

Non è poi difficile rintracciare nel messaggio di Salvini caratteristiche basilari del “discorso vittimista”: la deresponsabilizzazione, il rifiuto della complessità, il machismo di ritorno, la gogna pubblica per chi sbaglia, la doppia morale su mediazioni e compromessi, l’egoismo e la cura del proprio particulare.

Un modello vincente nella misura in cui sui singoli temi nessuno tra gli attori politici, per capacità o volontà, si fa carico di una controffensiva culturale credibile ed in grado di parlare alla platea più ampia possibile. Addirittura alcuni (è il caso del Movimento 5 Stelle ma non solo) finiscono per inseguirlo sul suo stesso terreno, rafforzandone la posizione. Dall’immigrazione al furore antieuropeista, dalla polemica anti – rom fino all’uscita dall’euro: Salvini colpisce tanto più duramente dove gli altri evitano di metterci la faccia, per paura di perdere consensi o per semplice incapacità, finendo addirittura per cedere campo (si pensi alla follia dell’abbandono di Mare Nostrum, ad esempio).

Per la prima volta, poi, una comunicazione di questo tipo è completamente "interclassista" e fa presa indifferentemente sul proletariato urbano (sui cambiamenti in corso, da tempo, in particolare in periferia, converrà ragionare seriamente), su ciò che resta del "ceto medio", tra i piccoli e medi imprenditori provati dalla crisi, tra le vittime della fine dello statalismo e tra vecchi e nuovi nostalgici della soluzione pragmatico – autoritaria.

Il leader leghista per di più “si muove su ogni livello comunicativo con enorme libertà, dalla televisione alla radio, passando per i social network (dove non è ostaggio della folle logica della monetizzazione dei click…), ha ben chiari i riferimenti ideologici e i referenti politici a livello sovranazionale”.

Basta tutto ciò per essere la vera alternativa a Matteo Renzi? Forse no, per limiti strutturali e per la stessa concorrenza nel campo politico di riferimento.

Salvini, lo abbiamo ripetuto più volte, è certamente un politico accorto, intelligente e furbo, che pianifica le mosse e ha messo in campo una strategia semplice, ma efficace. Che però non è un ostacolo al progetto renziano: una lunga stagione di governabilità, libera dalle contraddizioni del bipolarismo dell’alternanza, che replichi il modello della prima Repubblica, con un blocco di potere dotato di largo consenso ed una opposizione ridotta a singole battaglie di testimonianza.

In tal senso la crescita del consenso intorno al leader leghista non è un problema, anzi. In primo luogo, perché si muove in un bacino elettorale che non interseca in alcun modo quello cui mira Renzi, il quale ha già svuotato il campo dei “moderati” e si è dimostrato in grado di giocare la carte del “non c’è alternativa” presso una tipologia di elettorato restia a disertare le urne. Renzi ha capito che, nel momento del disimpegno e della disillusione, la partecipazione si limita al minimo sindacale e l’adesione ad un progetto avviene per il tramite di una figura carismatica: in questo senso Salvini rappresenta il suo alter ego ideale, specialmente nell'ottica di ricompattare l'elettorato di centrosinistra. Un nemico dipinto come rozzo, superficiale, estremista, fascistoide, populista: una sorta di surrogato di ciò che è stato Berlusconi per i vari D'Alema, Prodi e Veltroni. Una situazione dalla quale Renzi non può che trarre vantaggio, considerando che “si nutre di "immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo”.

Tanto più che le possibilità che Salvini rappresenti un vero competitor sul piano del consenso sono poche: se è vero che è egemone in quello spazio politico, allo stesso tempo la concorrenza è molta, dai grillini alle forze di estrema destra residuali ed indisponibili ad essere inglobate, senza dimenticare il consenso residuale di cui gode Berlusconi tra un certo tipo di elettorato (il grosso del consenso del Cavaliere migrerà in campo renziano, probabilmente). E sono i dati a confermare l'incapacità dello stesso Salvini a pescare nel campo dell'astensionismo, proprio perché incapace di rispondere alla domanda "quanto conta il mio voto?", cui nel tempo si è aggiunta la successiva "cosa ci fanno col mio voto?" e infine la definitiva "cosa cambierebbe senza il mio voto?" (non è un caso la recente "virata" della Lega Nord su questioni di grande rilevanza sociale, dal sostegno al reddito al sistema di ammortizzatori sociali).

Il Presidente del Consiglio è infine impegnato nella ridefinizione delle coordinate politico – ideologiche del Partito Democratico. Una operazione complessa, che sta incontrando più di qualche resistenza e che richiederà qualche "sacrificio". La lepenizzazione di Salvini in questo senso serve a delimitare il campo, "regalando" a Renzi un orizzonte chiaro ed un discrimine netto: noi siamo l'argine alla destra populista ed antieuropeista, dirà; noi siamo lontani dal qualunquismo e dalla demagogia grillina, ripeterà; noi siamo quelli che sono oltre le anacronistiche letture della società fatte a sinistra, aggiungerà. In un simile contesto, il bonapartismo renziano sembrerà quasi il minore dei mali, o meglio, la sola scelta "responsabile".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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