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Opinioni

La legge di stabilità non farà ripartire l’Italia

La legge di stabilità per il 2013 sposta il peso dalle imposte dirette alle indirette, ma non servirà alla crescita. Basterebbe ricordarsi dell’equazione di Modigilani-Miller per capire a che si sta andando incontro…
A cura di Luca Spoldi
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Chigi - incontro Governo parti sociali su legge di stabilita'

Sono incerto se commentare il varo del disegno di legge di stabilità per il 2013 con un “ci stiamo impiccando, con un sorriso sulle labbra” o ricorrere al motto (copywright by Dagospia) “non fa sosta la supposta”. Certo alcuni commentatori hanno subito messo le mani avanti: di tutti i provvedimenti fin qui varati dal governo Monti questo è quello meno criticabile e in fondo hanno ragione, visto che negli ultimi giorni al netto delle interviste “bulgare” (senza contraddittorio) di ministri e sottosegretari si temeva in realtà molto peggio. Ma il criterio del “meno peggio” non salverà l’Italia da un decennio a perdere che oggi appare sempre più probabile anche leggendo le previsioni degli analisti di Morgan Stanley, secondo cui “il male della crescita in Italia – e come e se sarà curato – è destinato a diventare un punto di riferimento per gli investitori”. Gli analisti della banca d’affari americana ritengono infatti “che sia improbabile che l’Italia diventi una storia di turnaround veloce, ci aspettiamo che continua debolezza ciclica, almeno fino alla prossima estate”. Così le previsioni in termini di Pil sono di “una contrazione del 2,5% quest’anno e dell’1% il prossimo”.

Sul versante dell’equità fiscale la legge di stabilità 2013, per come presentata nei comunicati di Palazzo Chigi, merita secondo alcuni una sufficienza, riducendo di un punto percentuale l’aliquota Irpef per i due primi scaglioni di reddito tra 0 e 15mila euro (aliquota che cala dal 23% al 22%) e tra 15mila e 28mila euro (aliquota dal 27% al 26%), a fronte però di un nuovo incremento dell’Iva, dal primo giugno 2013, di un punto (dal 10% all’11% l’aliquota ridotta, dal 21% al 22% quella ordinaria), cosa che sposta ulteriormente la pressione fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette, con l’effetto finale di deprimere ulteriormente i consumi, ossia la domanda domestica, nel tentativo forse di ossequiare l’egemone europeo, la Germania, e la sua fissazione per una “ricetta anti crisi” tutta basata sulle esportazioni (che purtroppo per l’Italia continuano a rallentare, a causa del rallentamento della crescita economica mondiale).

In verità, pur apprezando l’ulteriore revisione della spesa pubblica promesso, ho qualche dubbio sulla valutazione complessiva anche in termini di equità visto che è prevista, purtroppo, l’introduzione di una nuova tassazione sulle transazioni finanziarie che vorrebbe essere una sorta di tassa “alla Robin Hood” (o “Tobin Tax” che dir si voglia) che toglie ai ricchi per dare ai poveri, ma che puntualmente finirà col gravare sulle spalle dei piccoli risparmiatori, come ha nuovamente e ben ricordato anche il collega Mario Seminerio. Ma soprattutto mi pare sfugga completamente il rischio principale di questa ennesima manovra: aggravare la crisi, accelerando un processo di fuoriuscita di competenze, forze lavoro e imprese dal territorio nazionale.

Eppure basterebbe ricordarsi di un’equazione che a Modigliani e Miller fruttò un premio Nobel per l’economia e che in Bocconi ci facevano studiare a memoria negli anni Novanta (Mario Monti rettore regnante): il Roe (ritorno sul capitale) è pari al Roi (ritorno sul capitale investito) moltiplicato il Roi al netto del costo del denaro, per il grado di leva finanziaria, il tutto al netto delle imposte. Per farla breve che credete succeda se il costo del lavoro non è comprimibile (e di fatto non lo è perché per le banche e vicino a zero e le banche stesse non intendono ridurre i propri margini, anzi stanno cercando di aumentarli per rafforzare patrimoni indeboliti dalla crisi finanziaria), il grado di leva finanziaria si riduce (e di fatto si sta riducendo sia per il settore pubblico sia per quello privato), la tassazione non cala (e infatti sta aumentando in tutta Europa sotto la spinta “moralizzatrice” della Germania)? O il Roi sale o il Roe decresce.

Ma per far salire il Roi dovreste o introdurre  nuove produzioni di beni e servizi ad elevato valore aggiunto (che possano essere venduti su mercati dove il reddito disponibile cresce, cosa che in Italia non avviene,  come ha ricordato ancora ieri l’Istat, e che nel mondo non è detto avvenga, come dimostrano le riduzioni delle previsioni del Fondo monetario internazionale sulla crescita mondiale), o conseguire risparmi di costi, cosa che infatti si sta facendo un po’ ovunque in Europa e nel mondo, in Italia in particolare cercando di ridurre il costo del lavoro. Come? Agendo non sul cuneo fiscale che grava sullo stesso (“non possumus” direbbe Monti e purtroppo per ora ha ragione visto che ogni riduzione delle imposte in un’economia che non cresce apre buchi in bilancio che andrebbero coperti da altre imposte) ma direttamente sulle retribuzioni nette, salite “troppo” negli anni passati e dunque da tosare (lo fa anche il governo bloccando per un altro anno ogni incremento salariale per il settore pubblico, che dunque vedrà le retribuzioni reali, al netto dell’inflazione, calare) per cercare di recuperare “competitività”.

A nessuno o quasi passa ovviamente per la testa di recuperare competitività liberalizzando i mercati e abbattendo rendite di posizione (ogni volta che si prova scattano lobbies di ogni tipo e genere per bloccare o almeno ridurre l’impatto dei provvedimenti), pochi (certo non le banche) provano a investire sui giovani e sulle competenze, pochissimi si impegnano a ridurre evasione e corruzione, nonostante siano stati da tempo individuati come i principali mali di cui soffre il “Belpaese”. E dunque? Personalmente avendo dovuto passare notti insonni per superare esami in cui la formula di Modigliani-Miller era spiegata in ogni dettaglio, farei ripassare la materia ai nostri governanti e ai loro consiglieri. Ma anche rinnovare democraticamente una intera generazione di politici, tecnici, esperti, imprenditori e manager totalmente imbelli e incapaci avrebbe un effetto positivo. Peggio è davvero difficile immaginare di andare, salvo il ritorno al potere di coloro che hanno preceduto questo governo e portato l’Italia nell’attuale stato di dissesto. Peccato che siano gli stessi partiti e gruppi di potere che in parte sorreggono il governo e in parte sono all’opposizione.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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