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La Grecia verso nuove elezioni: nessun partito riesce a formare il governo

Ci hanno provato tutti: da Nuova Democrazia al Pasok passando per Syriza, ma nessuno dei principali partiti greci è riuscito a formare il governo. Venizelos, leader del Pasok, ha ancora due giorni di tempo per tentare di raggiungere un accordo, ma i segnali non sono positivi e la possibilità di nuove elezioni si fa più consistente.
A cura di Anna Coluccino
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nuove elezioni in grecia

A cinque giorni dalle elezioni, nessuno in Grecia è stato in grado di formale una coalizione di governo. Malgrado ben il 66% dei votanti abbia espresso il desiderio di rigettare i dictat europei, i partiti che sostengono tale proposito e che compongono il succitato 66% hanno – in molti casi – ideologie di segno opposto e non è stato possibile trovare un accordo. Ci aveva provato Alexis Tsipiras, leader di Syriza – partito della sinistra radicale che con il 17% delle preferenze è diventato il secondo partito più votato – ma senza successo. Il programma di Syriza prevede il rifiuto del programma della Troika e la completa rinegoziazione degli accordi, prospettiva rigettata sia dall'UE – che ha minacciato di non inviare altri aiuti se il piano di austerity non verrà applicato in ogni sua parte – sia dai partiti moderati del parlamento greco. Pasok e Nuova Democrazia – che hanno governato la Grecia per oltre cinquant'anni – non intendono abbracciare il programma di Syriza e confermano la loro fiducia nel piano di salvataggio europeo, affermando che mostrare il muso duro all'Europa potrebbe provocare l'uscita della Grecia dall'euro, con la conseguente diffusione di povertà e miseria ovunque. Ma i piani di Tsipiras – paradossalmente – stanno stretti anche ai partiti che si trovano alla sinistra del suo partito – come il KKE – i quali propongono l'immediata uscita dall'Unione Europea e non intendono passare per la fase delle contrattazioni; per non parlare dei partiti della destra radicale – come i Greci Indipendenti – che pur condividendo buona parte del programma di Syriza in materia economica si scontrano con posizioni radicalmente opposte su altri fronti come quello dei diritti sociali e dell'immigrazione. I deputati di Alba Dorata, partito neonazista che ha appena fatto il suo trionfale ingresso in parlamento, non sono mai stati interpellati.

Nonostante i partiti anti-Troika rappresentino la maggioranza del parlamento greco, nessuno è riuscito a far convivere le diverse anime della politica antimemorandum. E non va certo meglio agli europeisti ND e Pasok che, ora come ora, potrebbero contare soltanto sull'appoggio di Sinistra Democratica, che con il suo 5% non garantirebbe affatto un governo stabile e duraturo. Il primo a tentare la formazione di un governo favorevole alle misure di austerity è stato Antonis Samaras, leader della Nuova Democrazia – partito conservatore e convinto europeista che, in virtù del 19% conquistato all'ultima tornata elettorale, risultava essere il primo partito della penisola ellenica; ora è il turno di Evangelos Venizelos, leader del partito socialista Pasok  – terzo partito con il 13.5% – ma le prospettive di un accordo non sembrano migliorare.

Nel caso quest'ennesima consultazione dovesse risolversi in un nulla di fatto, alla Grecia non resterebbe che andare a nuove elezioni nel giro di quattro o cinque settimane, con tutte le conseguenze del caso. L'Unione Europea ha dichiarato di non vedere di buon occhio questa possibilità e ha fatto capire che non avrebbe alcun problema a scaricare Atene se non dovesse rispettare gli accordi sottoscritti. Nel caso di nuove elezioni, infatti, lo scenario più probabile vede Syriza primo partito, con un ulteriore potenziamento dei consensi in suo favore, e una generale canalizzazione dei voti antimemorandum verso le formazioni politiche più potenti. Non è invece possibile prevedere come si comporteranno gli elettori nei confronti di ND e Pasok: sceglieranno di sostenere le loro posizioni pro-austerity spaventati dallo spettro di "povertà e miseria" che potrebbe attenderli fuori dalla moneta unica, o li abbandoneranno definitivamente preferendo tentare una strada alternativa?

Quel che va considerato è che, in queste ore, l'umore del popolo greco è spaccato in due: da un lato c'è chi guarda con terrore all'attuale situazione di stallo, dall'altro c'è chi vede in questa momentanea impasse un primo successo dei movimenti. Da qualche giorno, infatti, il popolo greco è ufficialmente composto da una maggioranza di donne e uomini che rigettano i dictat europei e le nuove elezioni – comunque vadano – difficilmente cambieranno lo scenario. La popolazione, già pesantemente vessata, nei prossimi mesi dovrebbe affrontare nuove tasse, nuovi tagli, nuovi licenziamenti. La povertà e la miseria invocate a mo' di infausto presagio sono una realtà contingente e le misure europeiste non offrono prospettive migliori di quelle che attendono il popolo greco fuori dall'euro. Questo significa che se la possibilità di seguire l'esempio di Islanda e Argentina diventa politicamente concreta, anche gli astenuti potrebbero decidere di rafforzare l'evidente desiderio di cambiamento che anima gran parte dei greci e votare per le formazioni anti-Troika. In ogni caso, i cittadini europei sembrano determinanti a premere perché le cose vengano fatte diversamente. Non è dato sapere quanto potente sarà la spinta, quanto durerà, in che direzione e con quali modalità deciderà di canalizzare i suoi sforzi, e – soprattutto – non è dato sapere che genere di reazione internazionale è lecito aspettarsi, ma ogni giorno che passa diventa sempre più chiaro un punto: le cose stanno per cambiare.

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