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La Germania bacchetta Draghi: la Bce deve agire con più prudenza

Draghi prova a infondere coraggio, ma Berlino subito interviene bacchettando la Bce. Risultato: mentre l’euro cala ai minimi da 2 anni sul dollaro, le borse perdono quota in attesa dell’incontro della Bce a Napoli della prossima settimana.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Draghi prova a rompere gli indugi, ribadendo in un’intervista che la Bce resta “fermamente decisa a contrastare il rischio di stime a medio termine di una inflazione bassa per troppo tempo”, ma il “bluff” del numero uno di Eurotwer dura poco sui mercati finanziari europei, oggi tutte in deciso calo complice una seduta apertasi male a Wall Street dove a preoccupare non è tanto l’assenza della crescita quanto l’opposto, ossia che la ripresa appaia più robusta del previsto e, nonostante la Federal Reserve continui a dire il contrario, induca la banca centrale americana ad alzare anzitempo i tassi ufficiali, oggi virtualmente pari a zero e col mercato che prevede il primo rialzo (allo 0,25%) solo nel corso del primo trimestre del prossimo anno.

Così mentre l’euro tocca per due volte nell’arco della mattinata quota 1,27, livello che non si vedeva dal novembre del 2012, gli indici azionari perdono tra l’1,5% e il 2% a seconda del singolo listino, con la borsa di Milano che chiude a -1,35%. A sostenere il dollaro, come detto, è il continuo flusso di dati macro più forti delle attese (oggi gli ordini di beni durevoli in agosto, ieri l’andamento delle vendite di case nuove), a deprimere l’euro, che solo negli ultimi 30 giorni ha perso il 4,2% passando da 1,319 a 1,277 contro dollaro (mentre dagli 1,3645 dello scorso giugno il calo è ormai pari all’8,75%) sono i continui “altolà” che giungono dalla Germania, puntuali, poche ore dopo le dichiarazioni di Draghi.

In questo caso a bacchettare il banchiere centrale europeo è il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, che si dichiara “non particolarmente contento dell'acquisto dei titoli cartolarizzati da parte della Bce”, invitata dallo stesso ministro ad agire “con prudenza” anche per evitare “conflitti di interesse o parvenze di conflitti di interesse” tra politica monetaria e ruolo di autorità unica di vigilanza sulle banche europee (che a Berlino non è mai andato giù sia stato assegnato alla Bce e non mantenuto in capo alle banche centrali nazionali, nella fattispecie alla Bundesbank), due attività che andranno mantenute “rigorosamente separate” all'interno della Bce.

A pensar male si fa paccato, ma Schaeuble sembra più preoccupato, come il suo Cancelliere, Angela Merkel, della situazione politica interna, come nota anche Alessandro Fugnoli di Kairos Partners che nella newsletter “Il Rosso e il Nero” oggi ricordava come la posizione della Merkel, apparentemente inattaccabile, sia in realtà alquanto delicata: “I liberali si sono estinti e al loro posto è spuntato come un fungo un partito antieuro come Alternative fur Deutschland. Non bastasse, nella Cdu si è formata una  fronda di falchi, il Berliner Kreis, che accusa la Merkel di non avere colto il grido di dolore che si leva dal paese sulla perdita di sovranità e su costi causati dall’euro”.

Avete letto bene: i tedeschi piangono per i costi dell’euro e addebitano a Francia e Italia di aver fatto poche o nessuna di quelle riforme che ritengono indispensabili per un recupero di produttività che, come ricorda Mario Seminerio, non potrà che avvenire attraverso una deflazione salariale (ossia una compressione verso il basso dei salari stessi) vuoi “riformando” il quadro normativo (l’articolo 18 è un feticcio interessando ormai meno del 16% dei lavoratori dipendenti in Italia, ma certo facilitare l’assunzione e il licenziamento se in teoria rende più flessibile il fattore lavoro in pratica a breve rischia di produrre, come in Spagna, una nuova ondata di licenziamenti molto prima che le aziende tornino, eventualmente, ad assumere) vuoi con una compressione dei salari senza il “ricco welfare tedesco” a fare da cassa di compensazione.

Così mentre l’Italia si prepara a ingoiare la pillola amara fatta di un mix di blocchi salariali, licenziamenti più facili, pensioni ridotte e maggiori tasse (e che lo faccia di “spontanea volontà”, sotto dettatura della troika o a seguito di un commissariamento vero e proprio non cambierebbe la sostanza, semmai la forma e la misura delle prevedibili sofferenze per vasti strati della popolazione italiana), Berlino continua a mettere i bastoni tra le ruote di Draghi o almeno a provarci. Tra una settimana lo stesso Draghi, che terrà una riunione del board della Bce in Italia, a Napoli, annuncerà i dettagli del piano di acquisto di Abs (asset backed securities, titoli di credito cartolarizzati) con cui la banca centrale europea dovrebbe alleggerire di 350-400 miliardi di euro i bilanci delle banche che, superati anche gli stress test dell’Aqr condotta dalla stessa Bce nei mesi scorsi, potrebbero tornare a far girare un minimo di denaro nell’economia. Sempre che il rapporto depositi/prestiti si sia riequilibrato, cosa che in Italia rischia di accadere non prima di un altro anno come già ebbi modo di dire.

Fino ad allora sarà un continuo stop and go, con Draghi che cercherà di tirare sù il morale alla truppa, anzi ai mercati, così da mantenere prossimi a zero i tassi a breve termine (per la gioia di chi si è riuscito a indebitare a tassi variabili in questi ultimi anni, vuoi aziende vuoi privati ad esempio attraverso mutui e prestiti a lunga scadenza) e favorire quella ripresa che lo stesso Draghi ammette essere ancora troppo debole ed è invece fin troppo forte in America, e Berlino pronto a raddoppiare la marcatura. Il rischio alla fine è che le aziende, specie quelle multinazionali, a fronte di tassi bassi e altrettanto bassi consumi (almeno in Italia e nel Sud Europa) puntino sull’export, come del resto prevede la "ricetta tedesca",  indebitandosi in euro e investendo sui mercati americani ed asiatici dove la crescita resta robusta. E che tuttavia preferiscano farlo costruendo impianti ed investendo in loco, più che in Italia o in Europa.

Serve un cambio di passo, serve puntare sulla qualità delle nostre produzioni tipiche, serve innovare prodotti e servizi vendibili anche all'estero, serve attrarre investimenti e flussi di capitali anche e soprattutto facendo leva sulla “grande bellezza” italiana, sul turismo, sull’enogastronomia. Serve una combinazione astrale fortunata che al momento non si vede, serve una rivoluzione culturale che è ancora da divenire ai vertici della nostra classe dirigente economico-politico-finanziaria. Serve qualcuno che inizi e venga seguito ad altri o le cose da sole non cambieranno.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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