Come sempre accade, ogni scelta del Movimento 5 Stelle genera immediatamente un polverone di polemiche, con il fronte variegato degli "haters" cui si contrappone inevitabilmente quello dei difensori dell'ortodossia grillina. È quanto successo anche in occasione delle Quirinarie, fenomeno probabilmente tra i più controversi degli ultimi anni. In pratica si è chiesto ad una platea di meno di 50mila aventi diritto di votare il candidato di bandiera per l'imminente elezione del Presidente della Repubblica (senza che poi siano stati resi noti i dettagli, per quanto concerne votanti e distribuzione dei consensi). Un nome dal quale, se queste prime settimane insegnano qualcosa, i parlamentari del Movimento 5 Stelle non si staccheranno nemmeno se lo stallo dovesse proseguire oltre il terzo scrutinio. Ed è questo il punto dal quale non si può prescindere prima di ogni valutazione di merito: fintanto che il Movimento 5 Stelle insisterà sulla linea "duropurista", ogni esperimento di questo tipo resterà confinato nell'area del "gioco democratico" e privo di qualunque concretizzazione reale.
Ed è così anche per la scelta di Milena Gabanelli. Una professionista di indubbio talento, giornalista con la schiena dritta ed autorevole esponente di quella società civile che chiede e garantisce al tempo stesso una discontinuità con un ventennio da accantonare rapidamente. Ma non un candidato vero per il Quirinale. Per una serie di ragioni che esulano dal valore in se della Gabanelli (che, lo ripetiamo a scanso di equivoci, non è minimamente in discussione) e che invece rispondono alla natura stessa del rapporto fra gli italiani, la politica e le istituzioni. È nella distanza fra la nostra democrazia rappresentativa e il modello di democrazia diretta dei 5 Stelle che va ricercato il motivo di una candidatura non proponibile. Perché, paradossalmente, è molto più rappresentantiva degli italiani una indicazione al Colle che viene dopo una lunga mediazione all'interno di un partito, rispetto all'indicazione di qualche migliaio di cittadini che viene fatta propria da 170 parlamentari.
Almeno in teoria, infatti, i parlamentari del Movimento 5 Stelle non sono portavoce dei militanti grillini, ma rappresentanti di tutti gli italiani e hanno il diritto – dovere di lavorare alla soluzione migliore per tutti, non di seguire alla lettera le indicazioni di poche migliaia di cittadini. E in tal senso l'allergia al compromesso, alla mediazione, alla convergenza non ha motivo di esistere e, anzi, può essere un limite enorme. Nello specifico, non guasterebbe una valutazione di senso, come quella suggerita da Andrea Scanzi: "Gabanelli e Strada sono bei nomi, meravigliosi, stimabilissimi. Ma con zero chance di elezione. La mia speranza è che la prima rinunci (è probabile) e il secondo idem (meno probabile: giorni fa ha fatto sapere che sarebbe disponibile), per poter confluire immediatamente su Rodotà. In ogni caso, se il M5S insisterà sul "nome dei sogni" anche dalla quarta votazione, invece di appoggiare il primo nome effettivamente votabile ed eleggibile (Rodotà), compirà l'errore duropurista del secolo". Un errore di cui a pagare le conseguenze non saranno solo i votanti delle Quirinarie…