In un libro scritto qualche anno fa, il giornalista Curzio Maltese si riferiva all'avventura in politica di Silvio Berlusconi adoperando il termine "bolla". Una definizione che trovava fondamento e "legittimazione" in alcune interessanti e quantomai attuali considerazioni: "Dal 1994 l’Italia è divisa in due: chi vive felicemente dentro questa bolla di sapone, si sente protetto e si identifica con il carattere, i presunti vizi e le virtù del Capo; chi invece ostinatamente non si rassegna al fatto che metà paese si sia lasciato irretire, portare fuori strada dal Cavaliere il quale da 15 anni domina la scena politico-mediatica nazionale facendosi per forza di cose notare anche all’estero. Siamo diventati quindi un Paese spaccato, radicalizzato, che di conseguenza non trova sbocchi, che non sa più sperare, guardare in avanti, cui la crisi economica ha dato il colpo di grazia". Una bolla certamente non priva di fascino, che ha stregato milioni di italiani, ma inevitabilmente destinata a scoppiare, sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
Ed è proprio quello che è avvenuto in queste settimane "imbarazzanti", con l'ultima stanca e scontata rappresentazione di una commedia (ci sembrava troppo irriverente e leggero il termine "farsa"), snobbata dagli spettatori (per anni pronti a ridere ed applaudire convinti allo stesso copione), con attori sempre più defilati e demotivati e con un regista stanco e forse (per la prima volta) consapevole della "realtà delle cose". Quando la crisi ha cominciato a farsi sentire sul serio nelle stanze dei bottoni e nel Paese, quando gli stessi "poteri forti" (che avevano contribuito a gonfiare l'enorme bolla) hanno cominciato a smarcarsi e a prendere le distanze, quando gli italiani hanno mostrato di essersi "ridestati d'incanto, come alla fine di un lungo sogno", lo stesso Cavaliere è stato costretto a guardarsi allo specchio e a "prenderne atto", come scritto nervosamente nello storico bigliettino alla Camera, quando la dissoluzione della maggioranza è diventata evidente.
E per quanto possa sembrare spiacevole a tanta parte d'Italia che era rimasta affascinata dal "sogno in sedicesimi" dell'imprenditore "con il sole in tasca", quello di guardarsi indietro e vedere cosa resterà di questi 17 anni di rivoluzione mancata è un esercizio quasi terapeutico. Del resto, da un certo punto di vista le intercettazioni e le indiscrezioni degli ultimi mesi avevano già restituito l'immagine di un uomo incredibilmente potente e assurdamente solo, circondato da un nugolo di faccendieri ed affaristi senza scrupolo, da giovani disposte a tutto e consiglieri pronti ad "abbandonare la nave" al primo accenno di tempesta, sinceramente preoccupato per le sorti del Paese, ma al tempo stesso incapace di "arrendersi all'evidenza e uscire dalla fase onirica" (tanto per citare un'altra "penna nobile" del giornalismo italiano). Tuttavia, ora che il Paese è di fatto commissariato dallo spettro della recessione e si prepara ad affrontare una delle fasi più difficili della sua storia recente, è davvero disarmante pensare alle riforme tanto sbandierate e mai attuate, ai tanti proclami, alle mille promesse a vuoto e a tutto il tempo perso a "sistemare" (o a tentare di farlo) vecchi conti in sospeso ed interessi di bottega.
Intendiamoci, sono tante le cose che preferiremmo non fossero accadute a questo Paese, così come del resto non possiamo che constatare con amarezza l'incapacità di mettere in campo un'alternativa valida e radicale che avesse il consenso (sovrano, inutile ribadirlo) del popolo, ma nessuna analisi può a nostro avviso rifuggire da una considerazione minima: il berlusconismo non è stato (e non è) una eccezione, un fenomeno saltuario ed estemporaneo che cadrà ben presto nell'oblio, ma è la manifestazione lampante dello "stato" di un Paese. E' il capitolo successivo dell'autobiografia della nazione di gobettiana memoria sotto forma di "bolla", di un cambiamento solo apparente, di un prodotto scadente spinto da uno slogan attraente ed efficace. Un racconto in cui a farla da padrone è uno stanco e poco convinto gioco delle parti, amplificato dal vero fattore dirimente di questi ultimi anni, ovvero la spettacolarizzazione della politica, accompagnata da un suo evidente depotenziamento a tutti i livelli. In tal senso è innegabile lo sconvolgimento di tutti i canoni di riferimento antecedenti, con un vero e proprio stravolgimento finanche del lessico, del senso stesso delle parole e di concetti minimi come decenza e trasparenza. Gli esempi in tal senso sarebbero infiniti, ce ne sia concesso uno di lampante evidenza: come è stato possibile arrivare al punto che oltre 300 deputati votassero un ordine del giorno in cui in sostanza si considerava davvero Ruby Rubacuori come la nipote di Mubarak? Insomma, per tornare a Maltese, ormai non c'è dubbio, il dopo Berlusconi dobbiamo immaginarlo proprio come "il paese di Macondo", un luogo diverso ed uguale al tempo stesso in cui sarà però necessario rinominare gli oggetti, ridare senso alle parole e restituire consistenza e dignità ai concetti essenziali.