La Federazione della stampa chiede a Monti fondi per i giornali in crisi
Un accorato appello da parte della Fnsi a Monti e al suo Governo è stato pubblicato questa mattina su diversi giornali. Dalla Federazione della stampa italiana, dai Sindacati dei lavoratori del settore, da diverse Associazioni di Cooperative, da giornali di idee, no profit, degli italiani all’estero e delle minoranze linguistiche arriva un richiamo all'Esecutivo perché intervenga sulla crisi dell’editoria per salvare i numerosi giornali prossimi al fallimento. Attraverso una lettera, dal titolo eloquente “stanno morendo cento giornali. Pluralismo bene prezioso”, si chiede al Governo Monti di agire il prima possibile per fare in modo che queste aziende alla fine del mese non siano costrette a sospendere le loro pubblicazioni con l’inevitabile conseguenza della perdita di migliaia di posti di lavoro.
Nell’appello si ricorda che le aziende che rischiano di chiudere o lo hanno già fatto sono “giornali gestiti in cooperative espressioni di idee, di filoni culturali politici, voci di minoranze linguistiche, di comunità italiane all’estero, no profit” per i quali la legge prevede un sostegno perché ritenuti non meramente commerciali, ma che per il 2012 non ci sono garanzie di risorse effettivamente disponibili. Nella lettera si chiede di continuare il dibattito intrapreso con l’ex sottosegretario Malinconico, con il quale si stava cercando di capire quali potessero essere le strade da intraprendere, consci che è importante una riforma del sistema, ma che “se i nostri cento giornali dovessero chiudere nessuna riforma dell’editoria avrebbe, ovviamente, più senso”.
La federazione della stampa, inoltre, ritiene che sia indispensabile destinare al Fondo messo a disposizione per queste testate giornalistiche non meramente commerciali almeno 100 milioni di euro, per garantirgli le condizioni minime di sopravvivenza, sottolineando che in questo modo si “opererebbe in una linea di equità, analogamente a quanto già fatto dal Governo per Radio Radicale”. Non rinnegando, però, che sia giusto un riordino del sistema di interventi in quanto convinti che i contributi “debbano sempre più essere misurati sulla base dell’impiego dei giornalisti e dell’effettiva diffusione delle testate”, ritengono però impensabile eliminare completamente i contributi “che sono il lievito di quella informazione pluralistica che è vitale per il Paese”.