San Giovanni Incarico è un piccolissimo comune della Valle del Liri: tremila anime sparpagliate tra il santuario della Madonna della Guardia, il palazzo baronale e la Torre. In un bosco di salici ai margini di strada della periferia del paese, una mattina di novembre, qualcuno sta cercando della legna da ardere nel caminetto. Mentre si addentra nella boscaglia, l'uomo scorge qualcosa sotto una coltre di sacchetti neri di plastica. Sembra un pupazzo, ma a guardarlo bene, ha un grossa chiazza di sangue sulla testa bionda. Da lontano si intravede la nudità. In pochi attimi di vertigine, come l'onda di un maremoto, la consapevolezza di quello che sta guardando lo investe. Crolla seduto a terra, sgomento. Viene soccorso da due operatori ecologici che hanno pensato a un malore. Dopo mezzora nel bosco ci sono poliziotti, fotografi e giornalisti.
La storia di Mauro Iavarone
A Piedimonte di San Germano, a trenta minuti da San Giovanni Incarico, Rosa Forlini è a casa, dove da tre giorni attende il ritorno di Mauro Iavarone, 11 anni, suo figlio. Ne ha passate tante, da poco ha scontato la condanna per una storia legata al clan camorristico campano dei Casalesi. Alla sanguinosa cosca del Casertano, il fratello di Rosa, Libero Forlini è legato attraverso Nicola Zara, il braccio destro di ‘Sandokan‘ per conto del quale gestirebbe gli affari del clan nel Cassinese. Il padre di Mauro se n'è andato di casa e ha una nuova famiglia in Germania. Forse, pensa Rosa, Mauro è andato dal padre o forse sono stati i Casalesi a rapirle il figlio. Non è così e Rosa sta per scoprirlo. La mattina del 21 novembre 1998, i carabinieri vanno a prenderla per portarla in caserma e dirle che il suo bambino è stato trovato seminudo, la faccia nel terreno, i calzoni alle caviglie e il cranio sfondato, in un bosco di San Giovanni. Rosa ha un mancamento, viene soccorsa e portata via dal 118, mentre sul corpo straziato di suo figlio iniziano gli esami medico legali e i carabinieri convocano i primi testimoni.
Gli amici ‘grandi' di Mauro
Mauro era un ragazzo alto per la sua età – 1 metro e 65 a 11 anni – era biondo, bello. Faceva la prima media alla Don Minzoni, dove frequentava poco i suoi coetanei e molto ragazzi più grandi. Era indipendente, da quando sua madre aveva avuto quei guai con la giustizia era andato a stare dalla nonna. Proprio la madre di Rosa ne aveva denunciato la scomparsa a mezzanotte di quel mercoledì. Di lui trovano solo la bicicletta legata a un palo in via Cupa, alla periferia del San Giovanni. Il medico legale dice che è stato ucciso a bastonate in testa, seviziato, ma non ha subito violenza sessuale. È stato ammazzato lo stesso giorno della scomparsa.
La confessione
I carabinieri fanno presto a convocare i primi testimoni. Davanti al giudice compaiono Claudio, quattordicenne, vicino di casa di Mauro e Dennis Bogdan, 19 anni, un ragazzo di etnia rom che vive con la famiglia in una roulotte poco distante dalle case popolari di San Germano. È la madre di Mauro ad additarlo ai magistrati come personaggio ambiguo, sospetto. E mentre si indaga su di lui, in caserma si presenta Erik Schertzberger, 18 anni, madre peruviana e padre tedesco, uno degli amici ‘grandi' di Mauro che frequenta l'ultimo anno dell'Itis. Confessa di aver ucciso Mauro insieme a Dennis Bogdan e suo fratello Fardi, di 24 anni. Tutti vengono arrestati. Il supertestimone reo confesso Schertzberger, però, cambia troppo spesso versione inserendo di volta in volta personaggi diversi che avrebbero ucciso in concorso con lui, ma soprattutto, non è mai chiaro riguardo al movente. Se è vero, come il 18enne dice, che lo hanno portato nel bosco e ucciso a sprangate, cosa li ha spinti?
Il movente
Una delle prime ipotesi prese in esame da Assunta Cocomello ed Ersilio Pena, pm di Cassino, è quella che il ragazzo potesse essersi ribellato a un tentativo di violenza sessuale, ma sul corpo non ci sono segni di ‘resistenza' che facciano pensare a un stupro scappato di mano. È stata un'esecuzione? Un altro movente preso in considerazione è quello economico legato a un ammanco di denaro nello spaccio di droga. Mauro, infatti, aveva spesso in tasca tanti soldi per un ragazzino della sua età, forse vendeva droga per conto dei fratelli Bogdan o di Schertzberger e ha tenuto per sé una parte dei proventi? Tutte piste percorribili, visto che l'unica certezza, è che a ucciderlo sono state più persone e che una di quelle è il tedesco-peruviano le cui impronte sono state trovate sui sacchetti di plastica che coprivano il corpo di Mauro. A carico del solo Dennis, invece, c'è un video di un colloquio in carcere in cui racconta alla madre, parlando in lingua calderascia, di alcuni indumenti sporchi di sangue che avrebbe bruciato.
L'epilogo
La vicenda si conclude nel 2001 con la condanna all'ergastolo, in Cassazione, per Dennis Bogdan (sulla quale pesano le aggravanti della premeditazione, dei motivi abietti, delle sevizie e della crudeltà) e 20 anni a Erik Schertzberger (per cui viene la premeditazione). Secondo i giudici, Bogdan ed Schertzberger hanno ucciso in concorso con una o più persone che non saranno mai identificate. Il sospetto è che i due coprano i reali assassini che, forse, sono da ricercare in ambienti diversi da quelli di ordinario degrado, pedofilia e traffici criminali, che i ragazzi frequentavano. A poche ore dal delitto, mentre sua figlia veniva portata via in ambulanza, il nonno di Mauro aveva commentato:
So chi è stato. Non posso dirlo, ma lo so.