Il diritto di abitazione della casa coniugale (assegnazione della casa coniugale), regolato, prima della riforma del diritto di famiglia, nell'art. 155 quater c.c., oggi, dopo la riforma del diritto di famiglia attuata con il Decreto Legislativo del 28.12.2013 n. 154, si trova regolato nell'art. 337 sexies c.c. (assegnazione della casa coniugale).
Il diritto di abitazione (oggi assegnazione della casa coniugale) al coniuge risponde all'esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro "habitat" domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d'essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione, come ad esempio, in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza alcuna di speciale protezione.
Nel corso del tempo il diritto di abitazione della casa coniugale ha prodotto numerosi problemi: il primo è quello se il diritto di abitazione è riconoscibile anche in presenza di famiglie di fatto (oppure solo in presenza di famiglie basate su matrimonio), del resto l'esigenza di tutela dei figli è identica in entrambe le ipotesi; latro problema è quello relativo all'esigenza di valutare "se" e "quanto" l'assegnazione della casa familiare incide sull'eventuale assegno di mantenimento; per non parlare di tutti i problemi che sorgono per stabilire quali spese (condominio, tasse ecc.) sono a carico del soggetto a cui viene assegnata la casa coniugale e quali, invece, sono a carico del proprietario dell'immobile.
Si potrebbe continuare con tutti i problemi relativi alla possibilità di limitare il diritto di abitazione solo su una parte dell'immobile (quando le condizioni dell'unità immobiliare consentono un tale discorso) oppure se solo una parte dell'unità immobiliare era effettivamente occupata dalla famiglia, oppure a tutta la questione se il diritto di abitazione della casa familiare è applicabile solo all'ipotesi in cui il bene immobile è di proprietà di uno dei coniugi oppure se il diritto di abitazione è riconoscibile anche quando la casa coniugale è di proprietà di terzi (es. genitori di uno dei due coniugi) ed è concessa in comodato alla famiglia.
Ampia casistica è riservata all'opponibilità ai terzi del diritto di abitazione della casa familiare. Infatti, nulla esclude che il bene sia pignorato dopo l'assegnazione al coniuge, oppure nulla esclude che che il coniuge proprietario del bene decide di alienarlo dopo l'assegnazione dell'immobile all'altro coniuge, in questa ipotesi occorre stabilire come e quanto il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è opponibile al terzo acquirente.
Sul punto si è fatto riferimento all'art. 1599 c.c. e si è stabilito che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni.
Tale opponibilità conserva il suo valore finchè dura l'efficacia del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, che costituisce il titolo in forza del quale il coniuge, (che non sia titolare di un diritto reale o personale di godimento dell'immobile), acquisisce il diritto di occuparlo, in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti. E' evidente, infatti, che il perdurare sine die dell'occupazione dell'immobile – perfino quando ne siano venuti meno i presupposti, per essere i figli divenuti ormai autonomi economicamente – si risolverebbe in un ingiustificato, durevole, pregiudizio al diritto del proprietario terzo di godere e disporre del bene, ai sensi degli artt. 42 Cost. e 832 c.c. Una tele lettura delle norme che regolano l'assegnazione della casa coniugale presterebbe certamente il fianco a facili censure di incostituzionalità.
Occorre, a questo punto, comprendere come quali mezzi ed armi hanno il terzo proprietario del bene o l'altro coniuge proprietario per far verificare il venir meno dei presupposti per l'assegnazione della casa coniugale (ovviamente dopo l'assegnazione). Le strade da seguire sono diverse per i terzi e per l'altro coniuge.
Infatti, il per il coniuge che intende far accertare il venir meno dei presupposti per l'assegnazione della casa coniugale, può usare gli strumenti messi a sua disposizione della normativa in materia di separazione e divorzio. Infatti, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale può essere oggetto di revisione quando vengono a mancare i presupposti per l'assegnazione (l'efficacia della pronuncia giudiziale del provvedimento di assegnazione in parola può essere messa in discussione tra i coniugi, circa il perdurare dell'interesse dei figli, nelle forme del procedimento di revisione previsto all'art. 9 della I. n. 898 del 1970, attraverso la richiesta di revoca del provvedimento di assegnazione, per il sopravvenuto venir meno dei presupposti che ne avevano giustificato l'emissione).
Si ritiene che la revoca del provvedimento di assegnazione della casa contenga anche l'ordine di rilascio del bene, anche in assenza di una condanna espressa alla consegna del bene immobile.
Diversa è la strada (procedura) che può seguire il terzo proprietario dell'immobile (quando non coincide con il coniuge), diverso è anche il giudice competente.
Deve ritenersi che il terzo acquirente – non legittimato ad attivare il procedimento di revisione delle condizioni di separazione o divorzio – non possa che proporre, instaurando un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell'insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, con il medesimo conviventi.
E ciò al fine di conseguire una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l'occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario, a tutela della pienezza delle facoltà connesse al diritto dominicale acquisito, non più recessive rispetto alle esigenze di tutela dei figli della coppia separata o divorziata.
Ogni questione relativa al diritto di proprietà della casa coniugale o al diritto di abitazione sull'immobile esula dalla competenza funzionale del giudice della separazione o del divorzio, e va proposta con il giudizio di cognizione ordinaria). In mancanza, il terzo – non potendo attivare il procedimento, riservato ai coniugi, di cui all'art. 9 della legge sul divorzio – resterebbe, per il vero, del tutto privo di tutela, in violazione del disposto dell'art. 24 Cost.
Cass., civ. sez. I, del 22 luglio 2015, n. 15367 in pdf