Con il contratto (o il giudizio) di divisione si ottiene lo scioglimento della comunione (qualsiasi sia il titolo costitutivo della comunione). Proprio perché si è in presenza di un contratto (accordo) sulla divisione dei beni in comune (e, nella peggiore delle ipotesi, di un vero e proprio procedimento giudiziario di divisione) non sono possibili soluzioni alternative o equiparabili (come un mero frazionamento catastale del bene immobile in comune).
La divisione presenta sempre problemi che danno vita a difficoltà (che si tramutano in contenziosi) quando si cerca di attuare ed effettuare materialmente lo scioglimento della comunione.
Il primo problema relativo alla divisione è quello inerente l'identificazione dei soggetti che devono partecipare alla divisione (o alla scioglimento della comunione), alla divisione devono partecipare tutti i comproprietari, ci si chiede che valore potrebbe avere una divisione effettuata solo da alcuni comproprietari (ed inviata al proprietario escluso per la sua eventuale adesione). In una situazione simile il documento di divisione sottoscritto solo da alcuni del comproprietari avrebbe la natura giuridica di mera proposta di divisione, che si perfezionerà "se" e "quando" ci sarà l'accettazione di tutti i comproprietari.
Non è, invece, necessaria la partecipazione alla divisione dei creditori ipotecari.
Superato l'ostacolo dell'identificazione dei soggetti che devono partecipare alla divisione, (contrattuale o processuale), occorre procedere alla materiare separazione (divisione) dei beni e in questa fase sono numerose le problematiche che possono verificarsi. Il primo passo per poter procedere alla divisione è quello relativo all'identificazione della quota (concreta) di ogni comproprietario e se questa operazione è relativamente semplice nelle comunioni "semplici" (in cui se il titolo non dice nulla la quota si presume identica per ogni comproprietario), più complessa è, invece, l'identificazione delle singole quote in presenza di una divisione avente ad oggetto un'eredità (in cui le quote di ogni singolo erede dipendono nella successione ab intestato, dal suo rapporto con il testatore oppure nella successione testamentaria dipendono, appunto, dalla volontà del testatore indicata nel testamento).
Nulla esclude che in caso di contestazione sulla quota i comproprietari stipulino un contratto identificativo o quantificativo delle singole quote, tramite un negozio di accertamento o una transazione (c.d. transazione divisoria o divisione transattiva).
Risulti questi problemi preliminari è possibile procedere alla materiale divisione (separazione) dei beni comuni procedendo alla formazione delle porzioni (tanti quanti sono i comproprietari) ed il valore di ogni porzione dovrà corrispondere al valore della quota e, di conseguenza, non dovrà superare il valore della quota di comproprietà di ogni partecipante alla comunione. Principio, questo abbastanza lineare se si considera che non è possibile che un titolare con una quota pari ad 1/4 possa avere una porzione di valore pari ad 1/2 (salvo casi particolari che darebbero vita al c.d. conguaglio a favore degli altri comproprietari).
Per procedere alla materiale formazione delle porzioni occorre seguire il principio dell'omogeneità: la porzione attribuita ad ogni contitolare deve contenere una parte di tutti i beni presenti nella comunione (art. 727 c.c. "Salvo quanto è disposto dagli articoli 720 e 722 c.c., le porzioni devono essere formate comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell'entità di ciascuna quota".
Il principio dell'omogeneità della formazione delle porzioni o il principio della proporzione dei beni che formano le porzione può avere delle eccezioni (in alcuni casi solo apparenti, come nell'ipotesi in cui il bene richiedere delle opere materiali per poter essere materialmente diviso e l'esecuzione di queste opere è rinviato ad un momento successivo alla divisione, si pensi all'ipotesi in cui occorre alzare un muro divisorio).
Esistono delle deroghe legali ed espresse al principio dell'omogeneità indicate dallo stesso legislatore, come gli articoli 720 e 722 c.c.
Esistono anche delle deroghe al principio dell'omogeneità delle porzioni derivanti dalla logica (oppure, più semplicemente, dall'opportunità). Infatti, il principio dell'omogeneità può essere derogato quando l'applicazione del principio dell'omogeneità determinerebbe un pregiudizio del diritto dei condividenti a conseguire una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quella spettante singolarmente sulla massa, come potrebbe verificarsi in caso di diseguaglianza delle quote, ma anche quando, ad esempio, il frazionamento di un unico bene sarebbe vita a due beni di valore economicamente inferiore al bene unico o quando il costo delle opere necessarie per il frazionamento è sproporzionato rispetto al valore del bene.
Occorre distinguere le deroghe al principio dell'omogeneità dalla materiale applicazione del medesimo principio, infatti, ci si potrebbe chiedere se in presenza di una comunione con 3 contitolari avente ad oggetto 1 libro antico, 2 auto e, infine, 3 appartamenti il principio dell'omogeneità opera su ogni singolo bene (e sarebbe per forza violato nell'esempio sopra indicato, non potendosi materialmente dividersi in 3 porzioni un libro o due auto) ) oppure deve essere applicato nell'abito delle categoria di appartenenza, denaro, bene mobile, bene immobile; in quest'ultima ipotesi, nell'esempio sopra ipotizzato, si avrebbe una comunione formata da 3 beni mobili (1 libro antico + 2 auto) e 3 beni immobili (appartamenti).
Su questo punto si è affermato che le categorie nelle quali vanno suddivisi i beni da dividere, ai fini di una omogenea formazione delle quote, sono soltanto quelle previste dall'art. 727 c.c., ossia quelle degli immobili, dei mobili e dei crediti, e che, nel rispetto dell'appartenenza dei beni a tali categorie, ben possono taluni di essi essere assegnati per l'intero ad una quota ed altri, anche se presentano caratteristiche diverse, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie dei beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, dei mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei condividenti di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere.
Naturalmente, se non è possibile rispettare l'art. 727 c.c. (perché, ad esempio, esiste un unico bene in comunione e questo non è frazionabile), al contitolare che non riceve una parte del bene in natura (compreso nella comunione) deve essere riconosciuto un conguaglio in denaro, se così non fosse riceverebbe beni concreti di valore inferiore a quello della sua quota. Di conseguenza, sorge a carico del comproprietario che riceve una porzione di valore maggiore della sua quota l'obbligo diversare il conguaglio a favore di coloro che hanno ricevuto una porzione di valore inferiore alla quota. In questo modo si ristabilisce l'equilibrio nella divisione.
Cass. civ. sez. VI, del 28 gennaio 2015, n. 1649 in pdf