La dignità e il coraggio del popolo giapponese oltre il terremoto
E tra i cumuli di macerie, che sembrano montagne invalicabili, tra il fango, che come cemento ha immobilizzato ogni cosa, tra le case divelte, le voragini, i mucchi di auto e le strade squarciate, il Giappone vive interminabili giornate, sostenuto dalla dignità del suo popolo, di fronte alla quale si prova naturalmente una commozione profonda.
In questi giorni, soprattutto attraverso il web, sono circolate immagini di video e foto della tragedia, che ha colpito la terra del sol levante. L'11 marzo due scosse, la prima più lieve (7.9 gradi Richter), la seconda violentissima (8,8 gradi Richter), con epicentro in mare, hanno colpito la parte settentrionale del Giappone, a largo della costa della regione di Tōhoku. Dopo pochi minuti uno Tsunami con onde alte 10 metri si è abbattuto sulle coste affacciate al Pacifico, inghiottendo la terra e tutto ciò ciò che l'animava. Il terremoto in Giappone è stato devastante: giorno dopo giorno sale il bilancio dei morti, mentre 600.000 sono le persone evacuate, che ora vivono in centri di prima accoglienza allestiti in edifici pubblici, quali scuole e palestre, privi di acqua, gas ed elettricità. Ed è proprio la città di Sendai la più colpita dalla catastrofe, la più vicina all'epicentro.
Otsuchi: una nave è finita in cima ad un palazzo. Tra i detriti e la desolazione
Avvolti nelle coperte, gli uni accanto agli altri vivono in silenzio la loro nuova quotidianità, fatta di stenti e di poche certezze. Giorni precari, terribilmente precari, durante i quali l'ordine è di fondamentale importanza, parte di una cultura fiera e coraggiosa. La fila per bere, per mangiare, per una telefonata o, dove si può, per prendere il taxi: nessuno che manca di rispetto verso l'altro, prodighi di inchini e saluti cortesi. Tutti aiutano tutti, educati sin da piccoli al principio della collettività, dell'identità nazionale soprattutto nelle situazioni di emergenza. L'arte dell'arrangiamento è un'altra virtù di questo popolo, che si è attaccato alla vita e alla speranza come uniche ancore di salvezza.
Sanno controllare il dolore, la paura, la tristezza, emozioni stigmatizzate da un forte senso del dovere, che non conosce ostentazioni urlate: i bambini che non piangono e che addirittura collaborano alle attività e ai controlli quotidiani; le donne e gli uomini che silenziosamente ritornano alle loro abitazioni, o a ciò che resta di esse, nel tentativo di raccogliere gli avanzi di una vita spazzata via in pochi attimi; i soldati, che sollevano sulle loro spalle i sopravvissuti alla tragedia, conducendoli in salvo, lontano da quei cimiteri a cielo aperto fatti di legno e ferro. E li vediamo così: gli occhi stanchi ma non sconfitti, il volto segnato ma fiero, i gesti automatici ma non rassegnati.
Una donna che cucina per il marito e il figlio a Miyagi; una signora anziana in un centro di accoglienza ad Ofunato.
E ancora una volta, a parlarci di loro e delle giornate che affrontano, le immagini diffuse sul web, che non mancano mai di suscitare un turbinio di emozioni. Intere famiglie, per quelle che hanno la fortuna di esserlo, vivono raccolte in strutture rimediate, vere e proprie baracche, ciò che resta dopo il passaggio dello Tsunami. Si cucina come si può, si mangia quello che c'è, si vive senza alcuna pretesa. Altri invece, tra cui molti anziani, sono raccolti nei centri di accoglienza, circondati da pochi e indispensabili oggetti, tra cui guanti e coperte per combattere il freddo che copre questa terra devastata. Come se non fosse stato già abbastanza.
I soccorritori lavorano sotto la neve in cerca dei sopravvissuti
In questi giorni, il mondo osserva con ammirazione il popolo giapponese e si chiede donde derivi quell'indescrivibile forza di reazione alla catastrofe. Molti credono che questo atteggiamento dipenda da freddezza e passività innate, ma non è così, se si pensa che occorre un'incredibile forza d'animo per resistere alla sofferenza, per mantenere la calma durante interminabili attimi di terrore. Molte le teorie volte a spiegare ciò che rende i giapponesi così coriacei: alcuni citano la loro secolare attività di lavoro nella coltivazione del riso, un lavoro collettivo, corale, condiviso in un arcipelago che da sempre sopravvive alle catastrofi naturali e a quelle imposte; altri, invece, lo spiegano col timore appassionato di non mostrare i propri stati d'animo, di nasconderli per pudore e rispetto verso sé stessi; altri, ancora, ricercano nel Buddhismo giapponese i principi di pace, saggezza, compassione, rispetto, tolleranza, che caratterizzano la cultura di questo popolo.
A Miyagi, nella città di Sendai: un centro di prima accoglienza
A tutto questo c'è da aggiungere la "semplice" considerazione che i giapponesi, più di quanto non lo sia il resto del mondo, sono abituati ad affrontare sciagure naturali quali terremoti, tsunami, tifoni, ormai da migliaia di anni. Nel 1923, il 1° settembre alle ore 11:58, un violento sisma di magnitudo pari a 7.9 della scala Richter fece tremare la terra dai 4 ai 10 minuti: un numero incalcolabile di morti, si è detto intorno alle 150mila unità o forse anche di più, la città di Tokyo devastata dagli incendi, il tifone e lo tsunami. Si dice che solo i bombardamenti americani del '45 hanno provocato danni comparabili.
Immagini del terremoto in Giappone nel 1923
Con il tempo le tecniche di difesa si sono affinate grazie alla tecnologia: il prepararsi a eventi catastrofici ha temprato il loro animo, rendendolo risoluto e coraggioso. Non è fredda razionalità ma preparazione agli eventi: gli impiegati delle aziende li simulano attraverso esercitazioni mirate, chiamate drills; le scuole, gli edifici pubblici e le case sono dotate di altoparlanti; in ogni abitazione sono conservati gli equipaggiamenti per la sopravvivenza e si invita a tenere la vasca da bagno sempre piena d'acqua per ogni ogni minima vibrazione; vengono resi noti i punti di raduno e insegnato come comportarsi durante il terremoto: i luoghi di riparo e quali, invece, è opportuno evitare. Sin da piccoli vengono educati a quello che potrebbe succedere e, quando succede, sono pronti ad affrontarlo, indipendentemente dall'entità.
Il mondo, commosso, è piegato per l'ammirazione e il dolore verso un popolo che ha imparato a reagire alla sofferenza, l'unico che ha patito l'olocausto nucleare. E non si dica più che è fredda razionalità.
Una donna ustionata dagli effetti della bomba atomica;il fungo atomico su Nagasaki
(Photo Credits: DailyMail)