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La delibera di Salvini per tagliare i servizi ai migranti e i costi dell’accoglienza

La delibera del ministro dell’Interno parla di differenti modalità di assistenza per i richiedenti asilo e i titolari di protezione, oltre che della razionalizzazione della spesa. L’obiettivo è essenzialmente quello di portare i costi dei CAS da 35 a 25 euro al giorno per migrante (anche se alcune fonti ci confermano come probabilmente si “chiuderà” a 28 euro), con il via libera dell’ANAC di Cantone (che produrrà dei prezzi – standard per materiali e servizi).
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1-5-17, Salvini dorme al CARA di Mineo
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Ridurre i costi per l’assistenza ai richiedenti asilo e cambiare il sistema messo faticosamente in piedi negli ultimi anni dai governi Letta, Renzi e Gentiloni. L’obiettivo di Matteo Salvini è noto e, come vi avevamo anticipato, da tempo il suo staff è al lavoro per incardinare il percorso di riforma dell’accoglienza, con incontri con gli operatori del settore e soprattutto con le altre controparti istituzionali. Ora però c’è un primo passaggio formale importante. O meglio, ce ne sono due, che chiariscono bene quale sia l’impostazione del progetto del vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno e quali potrebbero essere le conseguenze nel breve e medio periodo.

Con una direttiva inviata ai prefetti, Salvini comincia infatti a impostare la riorganizzazione dell’intero sistema dell’accoglienza. E, parallelamente, firma un protocollo d’intesa con l’ANAC di Raffaele Cantone per l’elaborazione “di un nuovo capitolato per la fornitura di beni e servizi, comprensivo degli schemi di bandi tipo a cui dovranno attenersi i prefetti nella predisposizione delle gare di appalto di competenza”. Complessivamente, il ministro dell’Interno intende cambiare il modello dell’accoglienza, riducendone l’impatto sui centri urbani e il costo per le casse dello Stato. Con l’aiuto dell’ANAC, si intende abbassare la base d’asta per le gare d’appalto a circa 25 euro a migrante ospitato nei centri di accoglienza straordinari (per i centri SPRAR occorre fare un discorso a parte). Una cifra che, come vi abbiamo anticipato, potrebbe essere portata a 28 euro, per venire incontro alle richieste degli operatori del settore, che hanno più volte spiegato come una riduzione secca del contributo potrebbe avere ripercussioni sulla qualità stessa dell’accoglienza nei CAS. L'organismo guidato da Cantone dovrebbe infatti determinare dei prezzi standard di riferimento per i vari servizi (cibo, vestiti, assistenza) intorno ai quali calibrare i bandi, con soglie cui cooperative e gestori dovranno adeguarsi.

Il piano di Salvini è però più ambizioso e complesso del semplice “taglio dei costi”. E potrebbe avere effetti ben più gravi, anche per quanto concerne i rapporti con l’Europa. Proviamo a capire di cosa si tratta, a partire da quanto messo nero su bianco dal Viminale. Collegandosi a una (ben più ampia, per la verità) raccomandazione espressa dalla Corte dei Conti e ribadendo che l’intenzione del suo ministero è quella di accelerare l’iter per la valutazione delle richieste di protezione internazionale (oltre che di operare una stretta sull’accoglimento delle stesse, come spiegato dalla circolare che vi mostrammo in anteprima), Salvini mira a “ridefinire i servizi di prima accoglienza riservati ai richiedenti asilo”, tagliando alcune misure di “prima integrazione”, al momento previste per tutti coloro che sono ospiti delle strutture di accoglienza. Si legge nella direttiva:

Gli interventi di accoglienza integrata volti al supporto di percorsi di inclusione sociale, funzionali al conseguimento di una effettiva autonomia personale, dovranno continuare ad essere prestati nelle sole strutture di secondo livello a favore dei migranti beneficiari di una forma di protezione, mentre i servizi di prima accoglienza vanno invece rivisitati anche in un’ottica di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.

Cosa significa? Prima di tutto che agli ospiti dei CAS, essenzialmente coloro che abbiano fatto richiesta di asilo politico o di altra forma di protezione umanitaria, sarà garantito “oltre all’alloggio e al vitto, la cura dell’igiene, l’assistenza generica alla persona (mediazione linguistico-culturale, informazione normativa …), la tutela sanitaria e un sussidio per le spese giornaliere (il pocket money, ndr)”, mentre i percorsi di inserimento lavorativo, i corsi di lingua e le altre attività “volte al supporto di percorsi di inclusione sociale, funzionali al conseguimento di una effettiva autonomia personale” saranno riservate esclusivamente ai titolari di una qualche forma di protezione umanitaria. In pratica, il Viminale vuole ridurre al minimo lo sforzo di assistenza per coloro i quali facciano domanda di protezione, sacrificando i primi tentativi di integrazione a logiche di contenimento dei costi.

La decisione risponde all’idea di “accoglienza differenziata” e prevede anche la definizione di “più bandi – tipo” che possano servire a “soddisfare le esigenze nei propri territori”. Il Viminale punta a una serie di strutture di medie e piccole dimensioni che vadano a sostituire i grandi centri “collettivi”, fino ad arrivare alle “singole unità abitative”, destinate ai titolari di protezione, che dovrebbero usufruire di servizi “in rete” (servizi amministrativi, mediazione linguistico-culturale, informazione normativa). Anche questo è un aspetto particolarmente interessante, perché dal punto di vista teorico rinunciare ai grandi centri in favore dell’accoglienza diffusa potrebbe essere una soluzione. Come faceva presente l’Associazione Carta di Roma, l’accoglienza diffusa è più efficace perché “consiste innanzitutto nel non concentrare in un unico spazio centinaia di persone ma nel suddividerle sul territorio italiano agevolandone l’inclusione e l’integrazione”; inoltre i grandi numeri abbassano il livello qualitativo dell’accoglienza, come dimostrato da decine di esempi negli ultimi anni.

Dunque, tutto bene? No, affatto. Perché conciliare accoglienza diffusa, piccoli numeri e taglio dei costi è praticamente impossibile. Come ci spiega una fonte del mondo della cooperazione, infatti, “i grandi numeri consentono di abbattere i costi, dal cibo al riscaldamento, fino ad arrivare ai servizi formativi”, mentre “Salvini vorrebbe risparmiare mettendo in rete alcuni servizi, come la mediazione e il supporto normativo, ma non si rende conto che ci sono degli ostacoli insuperabili, che possono essere legati alla conformazione dei territori, alle difficoltà logistiche o alle specificità delle singole situazioni”. Il problema è che l’accoglienza diffusa necessiterebbe di investimenti più consistenti, ricalcando quanto fatto negli anni intorno ai progetti SPRAR, vero modello di accoglienza integrata e sostenibile. Insomma, i costi dovrebbero aumentare, non diminuire, se davvero si intende superare il modello dei grandi centri.

Di cosa si tratta? Ve ne avevamo parlato qui, sottolineando una serie di “requisiti – base” per tali centri:

Le strutture dei progetti Sprar devono rispondere a requisiti più stringenti, anche in considerazione del fatto che non vige la possibilità dell’affido emergenziale, vera e propria scappatoia regolamentare alla base di sprechi e disfunzioni. Sono gli Enti locali a dover garantire che le strutture (appartamenti singoli, nei quali i rifugiati hanno ampia autonomia gestionale, o centri collettivi con la presenza di operatori nelle ore diurne e notturne) siano in possesso dei requisiti in materia di urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e rispettare le norme igienico-sanitarie relative a qualità, conservazione e somministrazione di cibi e ingredienti. Altro particolare da non sottovalutare è quello della collocazione dei centri di accoglienza nei centri abitati e in zone ben servite dai trasporti pubblici: il senso è quello di “non ostacolare la partecipazione alla vita sociale e l’accesso ai servizi del territorio da parte dei beneficiari”.

Nei centri si presta particolare attenzione al vitto e ai generi di prima necessità, che vengono forniti tenendo conto anche delle particolari esigenze legate a tradizioni culturali e religiose. Ovviamente le modalità di erogazione sono legate alle diverse conformazioni dei centri: ad esempio nel caso di appartamenti si opta per la distribuzione diretta di generi alimentari, nel caso di mense esterne alla struttura di accoglienza vengono erogati buoni pasto, nel caso di mense interne si forniscono diverse tipologie di menu e in specifiche situazioni si scegli di versare direttamente denaro ai beneficiari. Anche per la fornitura di vestiario, abbigliamento e prodotti per l’igiene si opta o per l’erogazione diretta da parte del progetto di accoglienza, o per un contributo in denaro o con un buono spesa.

A chi fa presente che la buona accoglienza è incompatibile con il taglio dei costi, Salvini risponde citando l'esperienza francese, con i migranti che "costano" circa 25 euro a testa allo Stato centrale. La realtà è però ben diversa: se è vero che la cifra spesa per i centri di accoglienza è più bassa, allo stesso tempo bisogna considerare che i servizi destinati ai migranti sono già a carico del welfare, che supporta anche economicamente gli ospiti dei centri.

La delibera del ministero:

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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