La Commissione Ue boccia la manovra dell’Italia: che cosa succede adesso?
La Commissione europea ha definitivamente bocciato – per la seconda volta – la manovra italiana e ha raccomandato l'avvio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo per violazione della regola del debito. In molti, a questo punto, si stanno chiedendo che cosa succederà ora al Belpaese e a quali conseguenze l'Italia sarà esposta. In realtà, l'avvio di una procedura di infrazione in sede europea si inserisce in un lungo e complesso percorso che potrebbe durare molti mesi e la bocciatura di ieri non è che il punto di partenza di questo iter.
Come spiegato dal commissario europeo Pierre Moscovici, "ora spetta agli Stati membri presentare la loro posizione sulla nostra relazione. Se gli Stati fossero d’accordo con le conclusioni della Commissione, lavoreremo alla procedura per deficit eccessivo, con una nuova raccomandazione all’Italia affinché venga corretto questo deficit e la traiettoria del debito. Se dovremo imboccare questa strada, discuteremo delle modalità, in primis con le autorità italiane. In una situazione di questo tipo il dialogo è più indispensabile che mai”.
L'Italia, dunque, potrebbe essere sanzionata e costretta ad attivare un deposito infruttifero dello 0,2% del pil, circa 3,6 miliardi, più una componente variabile fino allo 0,5% del pil, vale a dire 9 miliardi . Che cosa significa, in poche parole? Significa che la Commissione europea potrebbe "raccomandare" (leggi obbligare, ndr) all'Italia di versare lo 0,2 per cento del Pil dell'anno precedente in una sorta di fondo di garanzia bloccato.
Ma andiamo per gradi: come detto, l'avvio di una procedura di infrazione costituisce il punto di partenza di un iter molto lungo, complesso e farraginoso regolato dall'articolo 126 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Quali sono dunque le tappe che andranno affrontate nel corso dei prossimi mesi?
La prima tappa coinvolgerà il Comitato economico e finanziario del Consiglio europeo per una valutazione preliminare. Il Comitato avrà a disposizione due settimane per fornire il proprio parere, dunque entro il prossimo 5 dicembre. In seguito, i ministri delle Finanze dell'Unione europea, riuniti nell'Ecofin, decideranno se procedere ulteriormente. Il Consiglio di Economia e finanza si riunirà il prossimo 4 dicembre e se per quella data il Comitato avrà già fornito il proprio parere, i ministri potranno votare l'avvio della procedura di infrazione contro l'Italia. In caso contrario, la prima data utile per la votazione dell'Ecofin sarà il prossimo 22 gennaio 2019.
Qualora l'Ecofin dovesse votare a maggioranza qualificata la raccomandazione per l'avvio della procedura di infrazione, al governo italiano verrà prima di tutto richiesta una manovra correttiva volta a riportare deficit nominale e strutturale a un livello compatibile con le regole europee. Il governo sarà chiamato ad intervenire entro sei mesi, o entro tre mesi se la situazione verrà giudicata essere particolarmente seria.
Attendendo i correttivi dell'Italia, il Consiglio potrà applicare una serie di sanzioni che vanno dalla richiesta alla Banca Europea degli Investimenti di riconsiderare i prestiti verso il Belpaese fino all'apertura del deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil (che può salire fino allo 0,5% in caso di gravi inottemperanze). Per prendere questa decisione occorrerà la maggioranza qualificata inversa, cioè una maggioranza qualificata del Consiglio che voti per bloccare l’applicazione della misura.
Una volta scaduti i termini, la Commissione e il Consiglio valuteranno l'eventuale manovra correttiva presentata dall'Italia e a quel punto potranno decidere se bloccare l'iter della procedura di infrazione oppure andare a intensificare le sanzioni qualora il Belpaese dovesse fornire risposte insufficienti. L'Ue potrebbe comunque allungare i termini ulteriormente, ma solo in caso di gravi problematiche sui mercati (abbassamento del rating del debito con conseguente difficoltà a rifinanziare lo stesso sul mercato, ad esempio).
Nel frattempo l’Italia non avrà accesso al cosiddetto "scudo anti spread” messo in campo dal governatore della Bce Mario Draghi nel 2012 e mai utilizzato, scudo che sostanzialmente prevede acquisti illimitati di titoli da parte della Banca Centrale Europea per aiutare Stati in grave difficoltà di finanziamento.