La Campagna governativa contro la droga e quello spot
Il governo italiano, si sa, si è sempre mostrato particolarmente interessato a comprendere il mondo giovanile: se non fosse bastato l'entusiasmo con cui è stato accettato il ddl Gelmini dagli studenti a dimostrarlo, basti ricordare che nel 2010 la disoccupazione giovanile ha raggiunto quasi quota 30%. Incredibile, dato che possiamo vantare cotanto Ministro della Gioventù (che è certamente vicino, quanto meno, ai giovani che non conoscono l'inno del proprio paese). Niente da stupirsi, dunque, per la presentazione del nuovo spot televisivo che sarà trasmesso tra l'1 e il 21 marzo, promosso dal Dipartimento per le Politiche Antidroga; non so in quanti hanno già avuto la fortuna di vederlo. Io, personalmente, sono rimasta a bocca aperta, come per la prima volta in cui ho visto Manuela Arcuri pubblicizzare il libro di Alfonso Luigi Marra.
Riassumiamo la storia: un giovane sta per partire con la fidanzatina e viene seguito dal proprio amico/pusher (il che già di per sé sembra piuttosto improbabile: perché è lo spacciatore a seguire l'acquirente? Non dovrebbe il cliente andare in cerca di questo? Magari ci sono degli antefatti che bisognerebbe conoscere) che gli dà una bustina contente delle pasticche. Salito sull'autobus che lo porterà in montagna, il futuro tossicodipendente sogna una donna bellissima venirgli incontro che, improvvisamente, con un verso a metà tra il nitrito e il ruggito, si trasforma in uno zombie. O almeno credo. Una sottilissima metafora sulle conseguenze della droga che, con false promesse, avvelena la realtà; metafora che in un comunicato è stata pure spiegata nel dettaglio, caso mai qualcuno non avesse ben capito (ma si sa, quando si parla di poesia è così). Finalmente il giovane si desta dall'incubo e, sceso dall'autobus, trova un fuocherello acceso proprio lì fuori (che fortuna!) nel quale getta la bustina con il suo contenuto (prossima campagna di sensibilizzazione proponibile dopo questa, sull'uso di bruciare la plastica e le sostanza chimiche). Il tutto chiosato dalle note di Nek, il quale deve aver evidentemente accantonato la passione per i collant, e dallo slogan "Non ti fare. Fatti la tua vita".
Purtroppo l'aggiunta dei commenti al video sul web, è stata disattivata, per cui non è facile avere una prova concreta di cosa pensino i "giovani" con cui questo spot vorrebbe comunicare; ma qualche osservazione è possibile farla comunque. In primo luogo è importante sottolineare come il Sottosegretario al Dipartimento delle Politiche Antidroga sia Carlo Giovanardi: uomo da sempre fieramente impegnato sul fronte della lotta alla droga, con iniziative quali la legge Fini – Giovanardi che equiparava droghe pesanti e leggere e che, soprattutto, rendeva passibili di sanzioni penali anche i consumatori, annullando di fatto l'esito di un referendum popolare del 1993. Insomma, uno che in quanto a modi di comunicare e di avvicinarsi ai giovani ed ai loro problemi, ha molto da insegnare. Per non parlare delle sue dichiarazioni di novembre 2009 a proposito della morte di Stefano Cucchi il quale, stando alle sue dichiarazione poi ritrattate, sarebbe morto perché "anoressico, drogato e sieropositivo" (Per altro, di norma, basta anche una sola delle tre condizioni per passare a miglior vita, non c'era bisogno di esagerare tanto, ma non nell'arco di cinque giorni e non con il corpo cosparso di traumi visibili).
Non c'è da stupirsi, dunque, se da tale cecità e moralismo dei più scontati, derivi uno spot del genere. C'è da dire che, negli ultimi anni non si era visto di meglio: ragazzini dalle facce pulite che, finalmente si pentono del proprio sbaglio e tornano alla vita serena, dopo il ravvedimento. Si stenta quasi a vederlo come un monito contro la droga, in questi termini. Con questi colori patinati e queste ambientazioni, la droga non fa più paura; con gli amici che ti restano vicino e ti aiutano "ad uscirne", come accadeva nello spot del 2002 (peccato che, nella realtà, il più delle volte, coloro tra gli amici che non si allontanano da chi inizia a drogarsi, condividano il medesimo interesse). La droga uccide davvero e certamente una retorica da oratorio non è un canale di comunicazione efficace con dei ragazzi che sono sempre più liberi e, dunque purtroppo, esposti. L'informazione sui reali pericoli delle droghe, che ci sono sia per le pesanti che per le leggere ma non sono gli stessi, è il solo modo con cui si può provare a combattere questo male che affligge la nostra società: di sicuro non raccontare delle favolette dal finale scontato. Hanno davvero pensato che qualcosa del genere potesse sortire un effetto?
Personalmente ricordo ancora come un incubo, ero bambina, gli spot che circolavano anni fa, con dei ragazzi che dicevano poche concise parole e i cui occhi diventavano bianchi; e sono certa di essere in buona compagnia. Oppure i terribili programmi di MTV in cui un medico mostrava praticamente i danni al cervello provocati dall'LSD. Messaggi forse un po' troppo forti, se ricordo la paura che suscitavano in me quegli occhi bianchi e quelle immagini di crepe nel cervello: ma certamente meno ipocriti, nel parlare di un argomento che è davvero drammatico, rivolgendosi a degli individui intelligenti e pensanti. E poi c'era la autorevole voce di Rita Levi Montalcini che esordiva ricordando che aveva dedicato la propria vita a studiare il cervello, per cui conosceva bene i rischi che si correvano con il consumo di droga: una formula meno violenta ma adatta a comunicare, comunque, con una certa efficacia a qualcuno. Uno spot che sembra un filmetto per adolescenti offende la categoria dei giovani e la loro intelligenza, ancora una volta.