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Opinioni

La Bce di Draghi può dare una mano a Renzi sulle riforme

La Bce di Mario Draghi può dare una mano all’Italia, purchè Matteo Renzi riesca a varare, nel giusto ordine, riforme in grado di innalzare la crescita potenziale italiana. Per riuscirci Draghi sarebbe pronto a spendere fino a mille miliardi.
A cura di Luca Spoldi
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Cosa serve perché l’euro torni ad essere una forza propulsiva di un’Unione Europea rimasta finora a metà del guado, limitata ad una moneta unica che ingessa economie tra loro ancora profondamente diverse finendo col favorire imponenti flussi di capitali che dalla periferia si muovono rapidamente verso i “porti sicuri” del Nord Europa ad ogni stornir di fronda e faticano a tornare ad affluire all’economia reale, specie in Italia? Perchè paesi come l'Italia e la Spagna tornino a offrire prospettive ai loro giovani? Perchè le piccole e medie imprese non siano più strangolate tra la difficoltà di trovare credito e l’implacabilità di un fisco sempre più pesante?

Occorre una classe politica in grado di imparare dagli errori anche recenti e di darsi un’agenda impegnativa che consenta per di ottenere quell’unità politica e quell’omogeneità di condizioni macroeconomiche indispensabili per evitare che le forze centrifughe finiscano col far collassare l’euro e l’Eurozona ora che la crisi del debito sovrano pare superata, le banche stanno riaggiustando i propri conti e la struttura dei loro bilanci e il quadro macroeconomico non è più così deprimente (ma ancora non si può parlare di ripresa “robusta” né tanto meno di pieno impiego dei fattori produttivi nel Sud Europa). Occore soprattutto evitare il rischio di improvvise ricadute che la strisciante ma sempre più evidente deflazione europea comporta.

Mario Draghi, ex Governatore di Banca d’Italia lo sa bene, come sa che occorre trovare il modo di sostenere quel processo di riforma di cui la struttura economica italiana ha bisogno da almeno 20 anni, tanto più ora che, non potendo più far leva su “svalutazioni competitive” anche la riottosa Italia deve adattarsi a regole che non gli sono proprie e che al momento penalizzano le sue piccole e medie imprese molto più delle grandi aziende tedesche o francesi. Il sentiero che ha di fronte Draghi è molto stretto, ma il banchiere centrale, già direttore generale del Tesoro all’epoca della prima ondata di privatizzazioni negli anni Novanta, è un abile giocatore di poker e può farcela, sfruttando l’assenza di alternative per la classe politica europea attuale, che sente il fiato sul collo dei movimenti populisti anti-euro e anti-Europa.

Dopo aver evitato il collasso dei mercati del credito inondandoli di liquidità (1.030 miliardi distribuiti con le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine, Ltro, del dicembre 2011 e del febbraio 2012), ha ridotto quasi a zero il costo del denaro (0,25% il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale, 0,75% su quelle di rifinanziamento marginale, mentre sui depositi presso la Bce il tasso è nullo) ed ha iniziato ad affidarsi alla “forward guidance” (la tecnica di annunciare in anticipo come si prevede che evolveranno una serie di indicatori e pertanto quali misure si prevede di attuare) per far sì che i mercati, adeguandosi alle previsioni, svolgano da soli buona parte del lavoro.

Tutto bene? Solo in parte, perché se è vero che Draghi e la Bce non hanno mai dovuto realmente “sfoderare il bazooka” per veder rientrare la crisi del debito sovrano e assistere al calo dei tassi sui bond emessi dai “PIIGS” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), cosa che indubbiamente ha dato una mano a evitare default a catena dopo quello “pilotato” della Grecia, e se è altrettanto indubbio che le banche hanno ristrutturato i bilanci a colpi di svalutazioni, cessioni di attività non strategiche e aumenti di capitali (solo le 15 banche italiane coinvolte nella “Asset quality review” della Bce chiederanno agli investitori privati 8,55 miliardi di euro da qui a giugno), rimborsando anticipatamente metà (536 miliardi) dei soldi ottenuti dalla Bce al tasso dell’1% fisso annuo (che in quel momento era bassissimo ma ora è per le banche migliori più elevato di quello ottenibile sul mercato per scadenze non superiori ai 3 anni con nuovi bond), di soldi veri all’economia reale come noto ne sono arrivati pochi.

Come fare a riattivare la crescita? Da un lato Draghi è pronto a imitare Federal Reserve statunitense e Bank of Japan lanciando un programma di “quantitative easing” (riacquisto di titoli obbligazionari sul mercato) che persino l’arcigno numero uno della Bundesbank, Jens Weidermann, ha ammesso poter essere una misura efficace e priva di particolari controindicazioni. Secondo indiscrezioni rilanciate (senza smentite) dal Frankfurter Allgemeine Zeitung potrebbe trattarsi in tutto di mille miliardi, quasi 80 miliardi di acquisti al mese, per di più sufficientemente “discrezionali” perché la Bce, acquistando Btp piuttosto che Bonos, riequilibri i flussi di capitali a favore di un paese membro dell’Eurozona piuttosto che ad altri.

Dall’altro lato Matteo Renzi può così contare su un “viatico” importante per imboccare quel cammino di riforme che avrebbero dovuto essere fatte già 20 anni fa (ma non furono sostenute da alcun partito, sindacato o gruppo imprenditoriale per il timore di perdere consensi) e che ora appaiono indispensabili se si vuole rimettere in moto l’economia italiana in assenza di risorse “importanti” da spendere sul fronte fiscale. Quali riforme può fare Renzi a “costo zero” (almeno economicamente) con l’aiuto di Draghi? Anzitutto può e dovrebbe affrontare il toro per le corna e riformare ed efficientare l’amministrazione pubblica, semplificare le norme e tagliare le unghie alla burocrazia, migliorare l’efficienza della giustizia civile (e penale), aprire alla concorrenza quei settori e quei mercati ancora “protetti”, rilanciare gli investimenti all’innovazione a partire dalle startup e dalla Pmi.

Riforme che secondo il Credit Suisse possono da sole generare un incremento “di alcuni punti del Pil”, un effetto dunque multiplo di quello delle consuete “manovre correttive” cui ci hanno abituato i governi italiani degli ultimi 20 anni. Mario Draghi metta con le spalle al muro la Merkel, ricordandole che se non si interverrà in aiuto di paesi come l’Italia e la Spagna (ma pure la Francia) il populismo avrà facile gioco nel vincere le elezioni europee prima e quelle nazionali nei singoli paesi membri  del Sud Europa (e non solo) poi, picchiando sul tasto del “no all’euro”. Poi inizi a reflazionare l’economia italiana e spagnola comprando Btp e Bonos che così usciranno dalle case delle banche, a quel punto in grado di tornare a offrire credito.

Se Renzi saprà fare i compiti in casa, rapidamente e nel giusto ordine, senza perder tempo in riforme “cosmetiche”, o polemiche francamente utili solo in campagna elettorale ma nel concreto privo di un impatto economico rilevante a breve termine (dall’abolizione delle Provincie alla riforma del Senato, dalle spese per gli F-35 al taglio dei “costi della politica”), superando il fuoco di sbarramento di lobby e corporazioni varie pubbliche e private, sarà possibile vedere segnali sempre più solidi di una ripresa che a sua volta potrà consentire l’abbandono graduale della “ricetta tedesca” fatta di lacrime e sangue (per i “reprobi” del Sud Europa).

Ne uscirebbe un’Europa più equilibrata, più competitiva, più giusta anche socialmente. In cui le differenze tra fare impresa in Germania, Francia, Italia o Spagna saranno attenuate e idealmente potrebbero ridursi ulteriormente in futuro. In cui l'innovazione e i giovani potrebbero tornare ad avere il giusto spazio, in cui evadere le imposte non sarebbe più “una necessità” ma una scelta che esporrebbe al rischio di (giuste) penalizzazioni in caso di scoperta di comportamenti illeciti a fronte di un minor peso fiscale complessivo. Qualcuno dice che questo scenario è un sogno, una illusione, perché in Italia siamo in grado di fare riforme e stare ai patti solo se costretti da “vincoli esterni” o “dall’emergenza”. Io spero che per una volta l’azione combinata della Bce e del governo italiano sarà in grado di smentire gli scettici, perché di energie positive, specie tra i nostri giovani, ce ne sono ancora in abbondanza e sarebbe ora che smettessimo di lasciarle marcire inutilizzate.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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