Mario Draghi, presidente della Bce, non ha deluso le attese e con la consumata abilità di comunicatore che anche i suoi avversari gli riconoscono ha annunciato: la Bce acquisterà 60 miliardi di euro di bond sul mercato ogni mese, dal prossimo marzo almeno fino a fine settembre 2016. Perché, aggiunge Draghi, un’inflazione bassa o persino negativa (ossia una deflazione conclamata, che lo stesso Draghi giudicava improbabile solo pochi mesi fa) è “inevitabile” in Eurolandia a breve, dato il persistere di bassi prezzi del petrolio. Attimi febbrili e mentre Twitter e le agenzie rilanciano le dichiarazioni dell’ex governatore di Banca d’Italia i mercati impazziscono, con borse al galoppo, rendimenti dei titoli di stato (specie italiani e spagnoli) in picchiata e spread che andavano a sfiorare, nel caso italiano, l’1% recuperando di botto 10 basis point e più. Intanto gli analisti fanno due conti: 60 miliardi di acquisti al mese per “almeno” 19 mesi significano almeno 1.140 miliardi, in linea coi 1.100 miliardi (spalmati su 22 mesi) che ieri si pensava Draghi potesse annunciare se fosse riuscito a vincere le resistenze dei “falchi” capeggiati dalla Germania.
E’ a questo punto che Draghi fa scivolare una precisazione: il board, unanime nel lanciare l'operazione, ha deciso che la suddivisione del rischio sugli acquisti riguarderà il 20% del totale, mentre l’80% degli acquisti sarà a capo delle singole banche centrali nazionali in base alla partecipazione al capitale della Bce di ciascun paese. Facendo due conti, nel bilancio della Bce finiranno non più di 216 miliardi (ma l’attivo di bilancio non se ne accorgerà quasi, perché da qui al 26 febbraio le banche europee dovranno restituire i residui 185 miliardi di finanziamenti Ltro ottenuti tre anni or sono), mentre dato che si procederà ad acquistare non oltre il 25% di ogni singola emissione e non oltre il 33% del debito di ciascun emittente, di titoli di stato italiani Draghi non ne acquisterà più di 80 miliardi (su 400 miliardi scarsi di Btp acquistabili a fronte dei 1200 circa in circolazione a fine 2014, oltre 400 miliardi dei quali nelle casse delle banche italiane).
Al di là dei sorrisi, Mario Draghi esce dunque battuto nel confronto con il fronte dei “falchi” guidato dalla Germania, tanto che un economista come Corrado Carnevale Maffè commenta amaro in alcuni tweet: questo QE “è un capolavoro di equilibrismo politico, ovvero il contrario dell’indipendenza” (della Bce) e “temo non servirà a molto”. A Carnevale Maffè un Draghi che “per un piatto di 1 trilione di lenticchie, si vende la primogenitura della (dis)Unione Monetaria” non piace, tanto più che se “gli effetti finanziari di questo QE sono dubbi, quelli istituzionali sono innegabili e immediati: è un vulnus storico al processo europeo”, un caso in cui “il pragmatismo della “realpolitik” fa sopravvivere i padri”, come Draghi, ma “la delegittimazione istituzionale compromette l’avvenire dei figli”, ossia dell’unione europea che oggi appare un po’ più retorica e un poco meno concreta.
Di parere opposto, ovviamente, l’interessato, che ai giornalisti presenti in conferenza stampa spiega di essere “stupito del fatto che la questione della condivisione dei rischi sia diventata la cosa più importante” e non ci si soffermi oltre che sulla portrata del provvedimento sulle riforme strutturali che spettano ai governi e che per la Bce vanno “attuate in modo credibile ed efficace per far salire le aspettative di reddito” e “incoraggiare le imprese ad aumentare gli investimenti da subito, e così anticipare la ripresa economica”. Per oggi tuttavia ai mercati va bene così, con la borsa di Milano che chiude in rialzo di oltre il 2,4%, il rendimento sul Btp decennale in calo all'1,57% e lo spread Btp-Bund che termine sotto l'1,165%, mentre l’euro scivola ancora, a 1,141 contro il dollaro tanto che la Danimarca deve tagliare di nuovo il tassi sui depositi (portati solo lunedì da -0,05% a -0,20% ed oggi ridotti ancora a -0,35%) per cercare di scoraggiare acquisti di corone, dopo che la banca centrale aveva effettuato acquisti di valute estere nel corso della giornata.
Prudenti i primi commenti degli investitori istituzionali: Luca Noto, gestore obbligazionario di Anima Sgr, sottolinea come “la decisione di oggi rappresenta un punto fermo sulla strada della ricostituzione della credibilità della Bce, messa in discussione dalla recente mancanza di interventi a fronte di un deterioramento dello scenario di crescita e di inflazione” e la scelta di acquistare 60 miliardi di euro di asset ogni mese, “rappresenta un eloquente messaggio di credibilità da parte della banca centrale”. In più essendo la decisione “condizionata a un ritorno dell’inflazione su valori più coerenti con il target della Bce” (ossia vicino al 2% annuo), di fatto “questo programma (è) potenzialmente illimitato”. La Bce farebbe dunque capire di voler mantenere “molto accomodanti le condizioni finanziarie dell’area euro, ponendo le basi per una compressione degli spread e tassi stabili o decrescenti, una valuta stabile o più debole, con una volatilità ed incertezza decrescente. La misura dell’efficacia dell’intervento sarà visibile su due elementi: le aspettative di inflazione ed il tasso di cambio euro/dollaro”.
Anche più fredda la reazione del collega tedesco Johannes Mueller, Chief investment officer Wealth Management Germany di Deutsche AWM (gruppo Deutsche Bank), secondo cui la decisione della Bce, rivelatasi “superiore delle aspettative che si erano già riflesse nei prezzi del mercato finanziario”, dopo il primo entusiasmo iniziale dovrebbero portare a “una certa tranquillità sui mercati al posto della speculazione rampante degli ultimi giorni e settimane”, mentre dal punto di vista economico “gli acquisti di titoli di stato da parte della Bce non sarà né una panacea né un male”. Semmai, aggiunge Mueller, “il duraturo effetto positivo sull’economia verrà probabilmente dalla svalutazione dell’euro, che equivale a un piccolo programma di stimolo. In ogni caso – concorda Mueller con Carnevale Maffè – l’impatto complessivo del QE rischia di essere limitato”, per cui è possibile aspettarsi “una temporanea battuta d’arresto per l’euro”, anche se è probabile “che la valuta continui a deprezzarsi nei confronti del dollaro, un trend che sosterrà i profitti delle imprese nella zona euro e quindi anche i mercati azionari”.
Morale della favola: Draghi ha dovuto rinunciare, con stile, a ogni velleità di imitare la Federal Reserve e se l’euro può sostenere una ripresa delle esportazioni europee, non è detto che col denaro ricevuto le banche (e quelle italiane in particolare) siano disposte a finanziare la ripresa. Almeno non finché (in Italia, ma non solo) la qualità del credito continuerà a deteriorarsi, non finché la crisi resterà una crisi da domanda. Non finché gli investitori (banche comprese) preferiranno investire il capitale a disposizione in operazioni di “carry trade” apparentemente a basso rischio e per questo troppo spesso caricate “a leva” così da moltiplicare i potenziali ritorni (ma inevitabilmente anche i potenziali rischi, come ha appena dimostrato l’elenco di perdite causate dalla decisione della Banca nazionale svizzera di liberare il cambio euro/franco) prima che investire nell’economia reale. Che pure sarebbe ciò che si dovrebbe fare a livello comunitario, se solo la classe politica, imprenditoriale e finanziaria europea ne fosse capace e si dimostrasse interessata a farlo prima che inseguire l’esclusiva difesa di interessi di parte.