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L’Italia vuole l’intesa con la Libia sui migranti e dimentica cosa succedeva con Gheddafi

Secondo Minniti, dal paese nordafricano arrivano “il 95% dei migranti”, motivo per cui “il fenomeno va affrontato lì”. Per far questo, dunque, si è deciso di rimettere in piedi, sostanzialmente, l’accordo siglato nel 2008 dal governo Berlusconi con Muhammar Gheddafi. Dimenticando respingimenti, violenze e vessazioni.
A cura di Claudia Torrisi
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Immigrazione: Libia, strage in mare al largo di Zuwara

La politica dell'Italia in fatto di immigrazione passa, ancora una volta, da un accordo con la Libia. Ieri il ministro dell'Interno Marco Minniti ha incontrato a Tripoli il presidente del consiglio presidenziale Fayez Mustafa Al Serraj e il ministro degli Esteri, M. Siyala, con i quali ha messo a punto un progetto di "memorandum d'intesa" per rafforzare, spiega una nota del Viminale, la "cooperazione tra i due paesi", soprattutto con riferimento "al settore migratorio, così come alla lotta alle organizzazioni criminali che sfruttano i migranti". Era stato proprio il ministro dell'Interno, nei giorni scorsi, ad annunciare di volersi recare in Libia per fermare le partenze verso l'Italia. Secondo Minniti, dal paese nordafricano arrivano "il 95% dei migranti", motivo per cui "il fenomeno va affrontato lì".

Per mettere a punto questo proposito, dunque, si è deciso di rimettere in piedi, sostanzialmente, l'accordo siglato nel 2008 dal ministro Roberto Maroni del governo Berlusconi con Muhammar Gheddafi. "Tenendo conto degli accordi già fatti tra Italia e Libia, uno nel 2008, l’altro più recente nel 2012, abbiamo comunemente deciso di raggiungere un accordo nei tempi più brevi possibili, che consenta a Italia e Libia di combattere insieme gli scafisti", ha spiegato Minniti in conferenza stampa. L'Italia chiederebbe così alla Libia di impedire ai barconi di partire e di intensificare i controlli alle frontiere sud del paese, impedendo i passaggi dal Niger (attività per cui il nostro paese ha promesso aiuto), e il rimpatrio verso i paesi dell’Africa subsahariana dei migranti che non dovrebbero più riuscire a partire. In cambio, a Tripoli potrebbe essere fornito un sistema di radar – già previsto nell’accordo del 2012 ad opera del ministro Cancellieri.

Eppure, il ricordo dell'intesa con Gheddafi non è proprio roseo. In seguito all'accordo le barche venivano intercettate in alto mare e riportate nei porti libici di partenza, senza che si fosse procedut a nessuna identificazione o che si fossero valutate situazioni di pericolo o di bisogno di assistenza. Così nel 2012 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all'unanimità l'Italia per gravi violazioni "del divieto di espulsioni di massa di stranieri e, di conseguenza, del principio di non respingimento". La decisione riguardava un caso verificatosi il 6 maggio del 2009 quando, a sud di Lampedusa, in acque internazionali, le autorità italiane avevano intercettato un'imbarcazione con a bordo circa 200 somali ed eritrei, tra cui anche donne incinte e bambini. I migranti vennero caricati su navi italiane e riportati a Tripoli, "senza essere prima identificati, ascoltati né informati preventivamente sulla loro effettiva destinazione".

Un altro risultato dell'accordo del 2008 fu sostanzialmente l'istituzione di campi lager – elegantemente chiamati "centri di trattenimento" – come quelli di Ganfuda, Majer, Misurata, Abu Salim, al-Zawiya,  dove venivano stipati e reclusi i migranti senza accuse né processi, sottoposti a ogni genere di vessazione, stupri e torture. La onlus InMigrazione aveva raccolto via cellulare alcune testimonianze di migranti reclusi:

"La situazione è molto drammatica, in carcere ti danno un pane al giorno, solo un pane, poi c’è la tortura…ti picchiano in ogni modo possibile… se provi a scappare, se fai qualsiasi cosa ti picchiamo con il bastone. Le donne vengono stuprate e mandate via"; "Ci sono donne incinte, bambini, minori. Ce n’è uno anche qui nella nostra stanza, si chiama Mahamed. So che solo tra gli eritrei ce ne sono cinque o sei di 14 o 15 anni. Stanno con noi, vivono con noi. Questi sono da soli, non sono accompagnati, mentre ce ne sono altri piccoli con la famiglia. Ci sono famiglie e i loro figli in una stanza, ci sono bambini di 5/7 anni, ci sono sette bambini eritrei che conosciamo di tre famiglie…e altri 3-4 di altre famiglie".

Tomas, un ragazzo eritreo, aveva invece raccontato a Human Rights Watch di abusi e pestaggi subiti dalle guardie delle prigioni libiche di Jawazat e di Kufra, luoghi di deportazione in cui, secondo l'organizzazione, gli agenti sono in combutta con i trafficanti, che chiedono ai migranti centinaia di dollari per farsi portare a Tripoli. Le persone respinte, insomma, venivano consegnate a torture e violenze.

Nel 2009 il Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch diceva che il primo ministro Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi stavano "costruendo il loro accordo di amicizia a spese di individui, di altri paesi, ritenuti sacrificabili da entrambi" e che "più che un trattato di amicizia" si trattava di uno "sporco accordo per permettere all'Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi". La Libia, ricordava ancora l'organizzazione, non era da considerare "seriamente come un interlocutore in qualsivoglia schema di protezione dei rifugiati, dice l'organizzazione, perché non ha ratificato la Convenzione sui rifugiati, non ha alcuna legislazione in materia d'asilo e invece vanta una triste storia di abuso e maltrattamento sui migranti colti nel tentativo di scappare dal paese via nave".

Ma, del resto, anche oggi sono noti gli abusi e le vessazioni che subiscono i migranti che passano dalla Libia prima di partire alla volta del Mediterraneo. Con o senza accordo – come confermato da agenzie e ong – esistono già a blocchi e deportazioni dei migranti in arrivo dal Sudan, dal Chad o dal Niger. Solo quest'estate Amnesty International ha raccolto e reso note "orribili testimonianze di violenza sessuale, uccisioni, torture e persecuzione religiosa che confermano la scioccante dimensione degli abusi che migranti e rifugiati subiscono affidandosi ai trafficanti nel percoso verso la Libia e all'interno di questo paese".

Come scrive il professor Fulvio Vassallo Paleologo, "i fallimenti delle missioni europee stanno riportando l’iniziativa per la conclusione di accordi di blocco e respingimento nelle mani dei governi dei paesi più esterni dell’Unione. Non sembra che gli accordi di polizia che adesso il governo italiano si mostra intenzionato a concludere con un governo vacillante che non controlla neppure l’intero territorio statale, come il governo Serraj, che non controlla neppure tutta la Tripolitania, possano garantire un contrasto più efficace nei confronti dei trafficanti ed un brandello di sicurezza in più ai migranti intrappolati nelle prigioni o nei compound libici". Quanto continua ad avvenire in Libia ancora oggi, invece,"dovrebbe fare riflettere l’opinione pubblica ed i politici europei, non meno che i vertici militari e di polizia, sul fondamento giuridico e morale di accordi bilaterali con paesi che, sia in mare che a terra, non garantiscono i diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita". Al momento, però, a guardare i comunicati soddisfatti del Viminale, di tutto questo sembra non esserci memoria.

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