Che cosa si prova a passare dall’essere una delle prime dieci economie al mondo ad una delle ultime quindici? E’ la domanda che dovranno a breve farsi tutti gli italiani secondo gli analisti di Bloomberg, che nell’elaborare il Misery Index 2015 collocano l’ex “bel paese” all’undicesimo posto tra i 15 paesi con le peggiori prospettive di crescita economica/maggiori prospettive di miseria per l’anno in corso sulla base di un’equazione tanto elementare quanto difficile da smentire: tasso di disoccupazione + tasso di inflazione = tasso di miseria. Peggio dell’Italia sono destinati a stare paesi già da tempo al centro delle cronache economiche mondiali, come, nell’ordine, il Venezuela (dove l’inflazione quest’anno rischia di salire dall’80% attuale al 120%), l’Argentina, il Sud Africa, l’Ucraina, la Grecia, ma anche la Spagna, la Russia, la Croazia, la Turchia e il Portogallo. Appena meglio dell’Italia dovrebbero stare a fine anno la Colombia, il Brasile, la Slovacchia e l’Indonesia.
Come si vede la compagnia è variegata ma non certo delle migliori. Venezuela, Argentina, Sud Africa, Ucraina e Grecia sono afflitti chi più chi meno da inflazioni galoppanti. L’Ucraina soffre poi dei costi della guerra strisciante con la Russia (la quale a sua volta paga uno scotto pesante a causa sia delle sanzioni occidentali sia del crollo dei prezzi del petrolio) e con un prodotto interno lordo procapite di appena 8.494 dollari riesce a superare solo le Filippine in termini di redditi medi tra i paesi presi in esame per elaborare le stime del misery index (51 in tutto) sulla base dei dati del Fondo monetario internazionale per quanto riguarda il reddito per residente.
La cosa non può stupire, visto che secondo le previsioni correnti la disoccupazione salirà al 9,5% quest’anno in Ucraina, mentre l’inflazione pur rallentando dal 24,9% annuo segnato a fine dicembre scorso dovrebbe risultare ancora pari al 17,5% in media nel corso del 2015. Non che la Russia stia molto meglio: con un’inflazione vista in crescita al 15% e una disoccupazione che l’attesa recessione dovrebbe far risalire al 5%, Mosac dovrebbe avere un indice di miseria del 20%, no troppo distante dal 27% previsto per Kiev.
I “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) sono destinati nel complesso a soffrire ancora un anno “orribile”, con l’Irlanda che pur non rientrando tra le 15 economie più “miserabili” è in realtà appena fuori dalla classifica al 16 esimo posto (ma con un reddito procapite di 48.787 dollari, contro una media di 31.079 dollari dei 51 del misery index), il che dovrebbe far venire più di un dubbio sull’efficacia della “cura letale” di matrice tedesca. Nel caso dei “maialini” europei a pesare non è l’inflazione, che anzi è destinata a rimanere negativa o appena sopra lo zero per molti di loro, ma l’esplodere negli ultimi anni di una disoccupazione che pare destinata a rimanere su livelli asfissianti nonostante qualche modesto segnale di miglioramento giunto proprio ieri dai numeri di Eurostat.
L’istituto statistico europeo nella sua più recente fotografia (dati a riferiti a fine gennaio, tranne che per la Grecia per i quali si riferiscono a fine novembre) parla di una disoccupazione del 25,8% in Grecia, del 23,4% in Spagna, del 13,3% in Portogallo, del 12,6% in Italia e del 10% in Irlanda. Per capire quanti danni abbia prodotto la “recessione virtuosa” del Sud Europa in questi anni basterebbe pensare che la disoccupazione media di tutta la Ue-28 è pari al 9,8%, mentre è pari al 5,7% in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e al 3,6% in Giappone.
Per l’Italia, che ha vissuto per decenni il mito delle “svalutazioni competitive” che hanno in realtà comportato inflazioni galoppanti scontate a caro prezzo dalla parte meno tutelata della popolazione e delle imprese, pare un monito da non ignorare se non si vuole che al danno si aggiunga la beffa di svegliarsi bruscamente da un'illusione in cui ci si è tropp a lungo cullati: non esistono scorciatoie che consentano ad un paese di risollevarsi da situazioni di grave crisi. Iin compenso, come conferma l'analisi di Bloomberg, esiste sempre, purtroppo, la possibilità di rovinarsi con le proprie mani, magari attribuendo in modo errato le colpe di una crisi o i meriti di una ripresa. Estote paratos.