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Opinioni

L’Italia è una repubblica basata sul lavoro

Per la Costituzione ogni cittadino italiano ha diritto al pieno sviluppo della propria persona e deve impegnarsi per concorrere al progresso della società. Eppure le disuguaglianze tendono a crescere più che a ridursi.
A cura di Luca Spoldi
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Tricolore

L’Italia, dice l’articolo 1 della nostra Costituzione, “è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” ed è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” aggiunge il secondo comma dell’articolo 3, mentre il secondo comma dell’articolo 4 chiarisce a scanso di equivoci che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Tutto chiaro? Visto che dalla carta costituzionale deriva ogni altra legge, regolamento o consuetudine (che se in disaccordo con la Costituzione può essere rimosso dal corpo del nostro ordinamento), dovrebbe esserlo a tutti, legislatori, imprenditori, banchieri e manager per primi. Qualche dubbio è lecito tuttavia, vista la crescente disparità di trattamento tra lavoratori e la persistente (se non in crescita) disparità circa le possibilità che ciascun cittadino italiano ha di ottenere il pieno sviluppo della sua persona e concorrere al progresso materiale e spirituale della nostra società.

Tenendo a mente di dettami costituzionali di cui sopra non si capisce, ad esempio, come sia possibile che un manager, sia pure prezioso, come Sergio Marchionne, numero uno del gruppo Fiat, possa concedersi il “bel gesto” di non ricevere alcun compenso per le sue attività come amministratore delegato, presidente e direttore operativo del gruppo Chrysler (che intanto festeggia il +40% su base annua segnato dalle immatricolazioni nel mese di febbraio a quota 133.521 vetture di cui 3.227 Fiat 500), come si legge nella copia dell’annual report 2011 consegnata dalla stessa Chrysler alla Security and exchange commission (Sec, equivalente statunitense dell’italiana Consob). Un bel gesto che un lavoratore normalmente non potrebbe consentirsi, ma Marchionne non ha problemi economici perché, spiega sempre il bilancio di Chrysler nel 2010 si è visto attribuire 600 mila dollari in “phantom stock” (uno strumento col quale la società determina anziché il numero e il valore dei titoli da attribuire a un manager direttamente una somma in denaro correlata alla variazione del valore del titolo in un dato arco di tempo), che nel corso del 2011 si sono apprezzate di ulteriori 937.526 dollari, portando il totale dei compensi di cui in futuro potrà beneficiare Marchionne (quando il titolo Chrysler tornerà in borsa e dopo che il gruppo Usa avrà rimborsato gli aiuti di stato ricevuto) a oltre 3,8 milioni di dollari.

Si dirà: Marchionne sceglie liberamente di non farsi pagare uno stipendio come un comune lavoratore accettando il rischio di essere pagato in base a titoli che potrebbero perdere di valore, dunque il premio è correlato al rischio. E’ vero solo in parte visto che, come ricorda sempre il bilancio di Chrysler, essendo anche “l’amministratore delegato di Fiat e presidente o amministratore delegato di diverse significative unità di business all’interno di Fiat e Fiat Industrial, tra cui Fiat Group Automobiles, Cnh e Iveco” al manager amante dei pullover blu spettano anche altri compensi non proprio trascurabili. Solo per restare nel campo dei piani di incentivazione, ad esempio, se il mese prossimo le assemblee di Fiat e Fiat Industrial voteranno a favore (e non c’è motivo di dubitarne) a Marchionne potrebbero essere attribuiti diritti per ricevere azioni gratuite per un controvalore complessivo di 50 milioni di euro su 200 milioni di euro di valore dei due piani di incentivazione, piani che coinvolgono in tutto 450 dirigenti circa del gruppo (300 di Fiat, 150 di Fiat Industrial).

E’ corretto che un singolo dirigente per quanto prezioso valga da solo più di 100 suoi colleghi? In base ai bonus che il gruppo Fiat intende concedergli sembrerebbe di sì, ma ancora qualche dubbio resta, anche perché in più a quanto già sopra ricordato Marchionne ha già maturato il diritto a ricevere 4 milioni di azioni gratuite Fiat e Fiat Industrial quest’anno per un controvalore attorno ai 50 milioni di euro nell’ambito di precedenti piani di stock grant e può ancora esercitare da qui al primo gennaio 2016 circa 10,65 milioni di titoli Fiat e Fiat Industrial al prezzo di 6,583 euro per ogni coppia di titoli (con una plusvalenza che se le quotazioni dei due titoli resteranno ai livelli attuali supererà la sessantina di milioni di euro), senza tener conto di un’altra “manciata di titoli” (6,25 milioni in tutto) che potrebbe sottoscrivere al prezzo di 13,37 euro la coppia (cosa che attualmente Marchionne non ha alcuna convenienza a fare, se anche potesse, visto che sommando le due quotazioni odierne si arriva ad un valore di 12,61 euro circa).

Facciamo i classici due conti della serva: Marchionne (cui comunque il gruppo Fiat paga una serie di benefit e di compensi oltre ai bonus sopra ricordati) potrebbe mettersi in tasca prima di lasciare il gruppo torinese almeno 150-160 milioni di euro in base ai risultati che saranno conseguiti, certamente, ma anche solo per evitare che vada a lavorare per un concorrente indipendentemente dai risultati o dagli errori che dovesse commettere, come ogni essere umano di questo pianeta (ad oggi non sembrano azzeccatissime, ad esempio, le decisioni di spostare la produzione della nuova Panda dall’impianto di Vichy in Polonia a quello di Pomigliano in Italia, visto che si tratta di una vettura di piccole dimensioni su cui i margini di profitto sono relativamente modesti, come pure il tentativo di far piacere agli americani una “citycar” come la nuova 500). Quanti dirigenti, quadri, impiegati e operai ci vogliono per raggiungere cifre analoghe? Il loro sforzo complessivo non vale quanto o più di quello, singolo, del loro "boss"?

Non si tratta, si badi bene, di un problema della persona (Marchionne è sicuramente un dirigente di valore e lo ha dimostrato salvando il gruppo Fiat dal baratro al suo arrivo nel 2004) ma di metodo, visto che cifre altrettanto astronomiche sono state guadagnate in questi anni tra compensi, bonus e liquidazioni da banchieri come Alessandro Profumo o Matteo Arpe o manager come Giovanni Puri Negri e Cesare Romiti (che quando lasciò il gruppo Fiat per raggiunti limiti d’età si vide attribuire una “maxi-liquidazione” da nababbo: 101,5 miliardi di lire cui vennero sommati altri 95 miliardi per il patto di non concorrenza, per un totale che riportato in euro resta impressionante anche a 13 anni di distanza, oltre 100 milioni).

Siamo sicuri che a determinare queste cifre sia solo il mercato e dunque ognuno sia pagato in proporzione al valore che crea per la società? O non c’entra ancora una volta quel “capitalismo di relazione” tutto italiano di cui ho avuto già modo di parlarvi e che ha saputo tutelare molto bene gli interessi di una sparuta minoranza di imprese e relativi dirigenti inventandosi patti di sindacato, clausole di gradimento, meccanismi di cooptazione e salotti buoni che hanno avuto effetti a dir poco distorsivi sulla concorrenza e sull’efficienza del mercato, tradendo così, se non la lettera quanto meno lo spirito dei primi articoli della nostra Costituzione prima ricordati? Chissà.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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