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L’Italia delle disuguaglianze: l’1% è trenta volte più ricco del 30% più povero

I forti squilibri distributivi sono evidenziati dal rapporto Oxfam “Un’Economia per il 99%”, pubblicato in occasione del World Economic Forum di Davos: gli otto super miliardari censiti da Forbes detengono la stessa ricchezza che è riuscita a mettere insieme la metà della popolazione più povera del mondo: 3,6 miliardi di persone.
A cura di Claudia Torrisi
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povero

Mentre i ricchi si arricchiscono sempre più velocemente, i poveri diventano sempre più poveri: il risultato è che la forbice della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza mondiale è diventata sempre più larga. Basti pensare che gli otto super miliardari censiti da Forbes detengono la stessa ricchezza che è riuscita a mettere insieme la metà della popolazione più povera del mondo: 3,6 miliardi di persone. D'altra parte, appena l’1% ha accumulato nel 2016 quanto si ritrova in tasca il restante 99%. I forti squilibri distributivi sono evidenziati dal rapporto Oxfam "Un'Economia per il 99%" sulla distribuzione della ricchezza netta in Italia nel 2016, pubblicato in occasione del World Economic Forum di Davos.

Secondo la Ong, i "mega paperoni dei nostri giorni si arricchiscono a un ritmo così spaventosamente veloce che potremmo veder nascere il primo trillionaire (ovvero un individuo che possiederà più di 1.000 miliardi di dollari) nei prossimi 25 anni. Una cifra che si consuma solo spendendo un milione di dollari al giorno per 2.738 anni". Alla base dell'aumento della disuguaglianza c'è il ricorso a pratiche di elusione fiscale e l'uso del potere per influenzare la politica. Oxfam ha calcolato che "1/3 della ricchezza dei miliardari è dovuta a eredità, mentre il 43% a relazioni clientelari. A chiudere il cerchio c’è l’uso di denaro e relazioni da parte dei ricchissimi per influenzare le decisioni politiche a loro favore. Ovunque nel mondo i governi continuano a tagliare le tasse su corporation e individui abbienti".

Anche nell'Italia delle disuguaglianze, la situazione non è molto diversa. Nel 2016 l'1% più ricco degli italiani possedeva una ricchezza oltre trenta volte maggiore del 30% più povero e 415 volte quella detenuta dal 20% più povero della popolazione italiana. Non solo: il 20% più ricco degli italiani deteneva poco più del 69% della ricchezza nazionale (il cui ammontare complessivo si è attestato, in valori nominali, a 9.973 miliardi di dollari), un altro 20% andava il 17,6%, e al 60% più povero toccava appena il 13,3% di ricchezza nazionale. La classifica di Forbes dei primi sette miliardari nazionali equivale alla ricchezza netta detenuta dal 30% più povero della popolazione. Secondo Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia, "i servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, ma a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco. La voce del 99% rimane inascoltata perché i governi mostrano di non essere in grado di combattere l’estrema disuguaglianza, continuando a fare gli interessi dell’1% più ricco: le grandi corporation e le élites più prospere".

Oxfam ha ricostruito e analizzato la distribuzione del surplus di reddito pro capite registrato nel periodo 1988-2011 su scala globale. Secondo il report, quasi il 46% dell'incremento del reddito disponibile pro-capite globale è stato appannaggio del 10% più ricco della popolazione mondiale, mentre la metà più povera della popolazione del pianeta ha ricevuto appena il 10%. I dati italiani rivelano per il periodo in esame un incremento complessivo del reddito nazionale pari a 220 miliardi di dollari (a parità del valore di acquisto nell'anno di riferimento 2005).

Anche il 45% del reddito disponibile pro-capite nazionale è andato verso il 20% più ricco della popolazione, e il 29% al top 10%. Quest'ultima frangia di popolazione ha accumulato un incremento di reddito superiore a quello della metà più povera degli italiani. Nel periodo dal 1988 al 2011, il 10% più povero ha ricevuto una quota di incremento di reddito pari all'1%, circa quattro dollari pro capite l'anno. La crescita di produttività del lavoro, tra l'altro, non ha determinato alcun miglioramento per la fascia più povera della popolazione: secondo gli ultimi dati Eurostat, i livelli delle retribuzioni non solo non ricompensano in modo adeguato gli sforzi dei lavoratori, ma sono sempre più insufficienti a garantire il minimo indispensabile alle famiglie. Da questo punto di vista l'Italia si trova sotto di due punti alla media Ue.

Un giudizio impietoso arriva anche dal World Economic Forum e dall'ultimo "The inclusive growth and Development Report 2017", che colloca il nostro paese al ventisetttesimo posto su trenta economie avanzate prese in considerazione. A relegare l'Italia così in basso è la valutazione dell'Inclusive Development Index, Idi, indicatore economico di nuova generazione che esamina non solo la ricchezza del Paese, ma la sua capacità di far quadrare la crescita con l'uguaglianza sociale, l'efficienza delle infrastrutture e dei servizi, la capacità di fare impresa in un ambiente favorevole e in maniera etica. Questo indicatore divide i paesi per grado di sviluppo, e li valuta considerando sette indicatori chiave: educazione e abilità; servizi e infrastrutture; corruzione; intermediazione finanziaria e investimenti in economia reale; imprenditorialità e creazione di asset; occupazione e compensazione del lavoro; trasferimenti fiscali e protezione sociale.

La difficoltà di raggiungere una crescita inclusiva viene dal 51% delle economie prese in considerazione dove negli ultimi cinque anni l'indice Idi è sceso inesorabilemnte. Nel 42% dei casi, inoltre, ha continuato a registrare pessime performance anche in presenza di un aumento della crescita del Pil pro capite. Secondo il Wef la colpa è dell'"ineguaglianza sociale" in aumento nel 77% delle economie prese in considerazione al tasso medio del 6,3%. Il report suggerisce ai governi di mettere in atto il prima possibile dei "nuovi modelli di crescita" basati soprattutto sull'aumento degli standard di vita dei cittadini e un nuovo modo di applicare le riforme strutturali. Secondo Richard Samans del Wef, "c'è un consenso globale sul fatto di perseguire una crescita inclusiva ma è più indicativo che concreto", mentre "per rispondere in maniera efficace alle nostre preoccupazioni le politiche economiche hanno bisogno di nuove regole, basate sugli standard di vita, su una nuova mappa mentale in cui le riforme strutturali vengano ripensate e riapplicate, proprio con questo obiettivo finale: una crescita che includa e che abbia benefici per tutti. E gli economisti non devono più pensare in termini di macroeconomia, supervisione finanziaria e politica commerciale". Quella che va messa in campo è  "‘l'equità tra le generazioni", cioè la riduzione del debito pubblico, per alleggerire la situazione delle generazioni future.

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