In assenza di un adempimento spontaneo del debitore, il creditore, per recuperare il proprio credito, è costretto ad intraprendere la strada del recupero coattivo.
Il primo passo, (almeno nell'ipotesi di recupero dei crediti), è la richiesta ufficiale di pagamento (sempre se non già effettuata) e, poi, la raccomandata con la quale si attiva la procedura della c.d. negoziazione assistita. si tratta di una procedura (obbligatoria per crediti fino a 50.000 euro con la quale il creditore invita il debitore a trovare un accordo bonario. Risulta chiaro che o le parti si mettono d'accordo su una sorta di piano di rientro (eventualmente con una riduzione dell'importo da pagare) con la presenza di solide garanzie per il pagamento delle future rate oppure è la negoziazione resta un inutile passaggio burocratico.
Chiusa questa fase il creditore per poter materialmente recuperare quanto dovuto deve far vagliare la bontà delle sue affermazioni (l'esistenza del suo credito) all'autorità giudiziaria facendosi rilasciare un c.d. titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo ecc.). Una volta ottenuto il titolo esecutivo (ed intimato il precetto) il creditore può materialmente incaricare l'ufficiale giudiziario di procedere all'esecuzione forzata, cioè per procedere al recupero coattivo di quanto dovuto.
L'ufficiale giudiziario, ricevuta la richiesta del creditore di mettere in esecuzione il titolo esecutivo, procedere al pignoramento, cioè blocca dei beni del debitore al fine di procedere alla loro liquidazione e attribuire il ricavato al creditore al fine di estinguere il credito.
Anche con l'inizio dell'esecuzione forzata non è concluso il calvario del creditore, infatti, sono possibili degli "intoppi", basta pensare all'ipotesi in cui il bene pignorato è solo in parte del debitore ed occorre procedere alla divisione prima della vendita coattiva (c.d. divisione endoesecutiva o interna alla procedura esecutiva). oppure è possibile che il bene pignorato non sia del debitore, ma di un terzo e il terzo (ovviamente) contesti il pignoramento rivendicando la proprietà del bene.
Oppure può capitare che effettuata la vendita del bene pignorato, l'aggiudicatario del bene non versi il prezzo e se, proprio il creditore è sfortunato, il debitore può anche morire prima dell'inizio dell'esecuzione forzata o durante l'esecuzione forzata.
Altri problemi all'esecuzione forzata possono derivare della c.d. opposizioni all'esecuzione o agli atti esecutivi. Infatti, il debitore appena c'è la minaccia dell'esecuzione forzata (precetto) o durante l'esecuzione forzata potrebbe avere interesse a sottolineare il suo adempimento (in tale ipotesi l'esecuzione forzata non può procedere) oppure potrebbe avere interesse a rilevare difetti (formali o sostanziali) dell'esecuzione e pretendere la ripetizione degli atti esecutivi.
Il codice di procedura regola questo tipo di opposizioni in due articoli l'art. 615 cpc il quale prevede che "Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente. Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa".
Altra norma che regola le opposizioni è l'art. 617 cpc il quale dispone che "Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l'esecuzione, davanti al giudice con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto".
Sorvolando su tutte le differenze esistenti tra opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi o tra opposizioni per motivi sostanziali o formali e tra opposizioni a precetto agli atti esecutivi è opportuno rilevare che può capitare che l'intera procedura esecutiva si possa bloccare o addirittura si può estinguere senza che il creditore abbia recuperato quanto dovuto.
Fino a quando il rapporto è tra un unico debitore ed un unico creditore, la situazione è gestibile, ma si potrebbe essere anche in presenza di esecuzioni complesse, basta pensare a più procedure esecutive contro lo stesso debitore (in virtù dell'identico titolo esecutivo). In queste situazioni complesse occorre valutare cosa accade se una delle opposizioni viene accolta e viene meno il titolo esecutivo.
Naturalmente occorre distinguere caso per caso, ma i principi generali possono così essere sintetizzati:
– la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, producendo l'illegittimità dell'esecuzione forzata con effetto ex tunc, può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio per cassazione, trattandosi di presupposto dell'azione esecutiva;
– l'opposizione all'esecuzione proposta dal soggetto nei cui confronti sia stata minacciata od esercitata l'azione esecutiva in forza di quello stesso titolo esecutivo successivamente venuto meno è, sia pure per motivi sopravvenuti (e, di norma, diversi da quelli fatti valere ab origine), un'opposizione fondata.
Cass., civ., sez. VI, del 3 febbraio 2015, n. 1925 in pdf
Aggiornamento
Il principio della rilevabilità d'ufficio della caducazione del titolo esecutivo è stato confermato dalla Cass. civ. sez. III del 11 dicembre 2018 n. 31955
In particolare la Cass. civ. sez. III del 11 dicembre 2018 n. 31955 afferma che "Deve darsi séguito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in sede di opposizione all'esecuzione con cui si contesta il diritto di procedere alle vie forzate perché chi le minaccia o le inizia non è assistito da titolo esecutivo, l'accertamento dell'idoneità del titolo stesso a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico nella decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione (Cass., 06/09/2017, n. 20868; Cass., 03/02/2015, n. 1925; Cass., 13/03/2012, n. 3977). Pertanto, dev'essere dichiarata la cessazione della materia del contendere per effetto del prioritario rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione.
Se è vero, infatti, che l'esistenza del titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria dell'esercizio dell'azione esecutiva, deve convenirsi che la sua esistenza, indipendentemente dalla posizione delle parti, dev'essere sempre verificata d'ufficio dal giudice (cfr., già, Cass. 7/02/2000, n. 1337).
In particolare – mentre il giudice dell'esecuzione ha il potere e dovere di verificare, con un accertamento che esaurisce la sua efficacia nel processo esecutivo, non solo la presenza del titolo esecutivo nel momento in cui l'azione esecutiva è sperimentata, ma anche la sua permanente validità ed efficacia in tutto il corso del procedimento coattivo – in sede di opposizione all'esecuzione l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone, esattamente in questa stessa logica, come preliminare (cfr. anche Cass. 28 luglio 2011, n. 16610).
Il giudice dell'opposizione è tenuto, quindi, a compiere anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sull'esistenza del titolo esecutivo azionato, potendo rilevarne sia l'inesistenza originaria sia la sua sopravvenuta caducazione, dal momento che, entrambe, determinano l'illegittimità "ah origine" dell'esecuzione forzata (cfr., altresì, Cass. 19/05/2011, n. 11021 e Cass. 29/11/2004, n. 22430)".