La morte di un determinato soggetto può avere ripercussioni processuali notevoli, sia in sede di cognizione, sia in sede esecutiva.
Nell’ipotesi in cui il creditore deve recuperare un credito trasferito dal de cuius ai suoi eredi, il creditore per poter procedere deve dimostrare (provare) la proprietà del bene esecutato prima al de cuius poi all'erede, inoltre, dovrà di mostrare che sia stata effettuata l’accettazione dell’eredità, infatti, in assenza di una prova sull’accettazione (espressa o tacita) l'esecuzione sarà bloccata (quanto meno) per carenza di legittimazione passiva.
La situazione, però, non è così semplice.
Infatti, il primo problema che si pone è quello relativo alla rilevabilità, in sede esecutiva, d'ufficio o meno della mancanza del titolo di acquisto del bene ereditario. In altri termini, la carenza della titolarità di un bene è un'eccezione di parte che non può essere sollevata d'ufficio oppure il giudice dell'esecuzione può verificare la titolarità in capo al debitore del bene pignorato. La risposta è che in sede esecutiva (al fine di garantire l'acquisto sicuro del bene all'aggiudicatario) il giudice dell'esecuzione può verificare d'ufficio la titolarità (o meno) in capo dal debitore del bene pignorato. Con tutte le conseguenze che seguono se non risulta un titolo di acquisto del bene a carico del debitore.
In sede ereditaria il titolo di acquisto è l'accettazione dell'eredità che può essere espressa (atto pubblico o scrittura privata) o tacita, cioè può essere desunta dal compimento di un altro atto compiuto dall'erede (es. vendita di un bene ereditario). Quindi, il giudice dovrà ricercare due titoli: il titolo di acquisto in capo al de cuius (cioè dovrà verificare che il de cuius ha acquistato il bene) e il titolo di acquisto dell'erede (che sarebbe l'accettazione dell'eredità).
In sede esecutiva, però, non sarà sufficiente avere materialmente l'accettazione dell'eredità (documento che per altro può anche mancare se l'accettazione dell'eredità è tacita), ma l'accettazione dell'eredità dovrà essere anche trascritta, in quanto dovendo trasferire il bene all'aggiudicatario quest'ultimo deve essere sicuro del suo acquisto. La trascrizione dell'accettazione, però, non viene effettuata ai fini dell'opponibilità ai terzi dell'acquisto (ex 2644 c.c.) posto che, in questo caso, la trascrizione dell'eredità non ha funzione di risolvere il conflitto tra due aventi causa dello stesso de cuius, ma solo ai fini della continuità delle trascrizioni. In altri termini, fino a quando l'accettazione (espressa o tacita) non è trascritta l'eventuale acquisto dell'aggiudicatario (acquirente nell'esecuzione forzata) non produrrà effetti 2650 c.c.; ecco quindi, che prima dell'aggiudicazione del bene ereditario al terzo dovrà esserci la trascrizione dell'accettazione dell'eredità.
Se la trascrizione dell'acquisto mortis causa non è effettuata, le trascrizioni ed iscrizioni successive, compresa la trascrizione del pignoramento, non producono effetto a carico dell'acquirente successivo, ai sensi dell'art. 2650, primo comma; ma se, ai sensi dell'art. 2650, secondo comma, la continuità viene ripristinata, le successive trascrizioni ed iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo (salvo il disposto dell'art. 2644). Perciò, una volta trascritta l'accettazione di eredità e ripristinata la continuità delle trascrizioni (nel presupposto che non vi siano trascrizioni o iscrizioni intermedie e quindi non operi l'art. 2644), pur dopo la trascrizione del pignoramento, questo mantiene i suoi effetti e la trascrizione del successivo decreto di trasferimento avrà, a sua volta, effetto contro coloro che abbiano iscritto o trascritto diritti in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento.
Il problema che si pone è che l'accettazione può essere formale (accettazione espressa) e, allora, il titolo per procedere alla trascrizione esiste ed è l'atto pubblico o una scrittura privata, il problema, però, è dato dal fatto che l'accettazione può essere anche tacita, in tal caso l'accettazione non potrà essere rappresenta da un atto pubblico o da una scrittura privata create a tal fine, ma consisterà in un altro documento dal quale si può desumere la volontà di accettare (es. vendita di un bene ereditario). Anche in queste ipotesi bisognerà procedere alla trascrizione dell'accettazione tacita, ma solo dopo che l'accettazione tacita è stata dichiarata con sentenza emessa sulla base degli atti che rappresentano l'accettazione tacita.
In materia di espropriazione immobiliare, qualora sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza ereditaria e l'accettazione dell'eredità non sia stata trascritta a cura dell'erede – debitore esecutato, il creditore procedente, se il chiamato all'eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell'eredità, può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell'atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente.
Se invece, il chiamato all'eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell'eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l'acquisto della qualità di erede sia seguito ex lege ai fatti di cui agli artt. 485 o 527 cod. civ., non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del debitore esecutato sia accertata con sentenza.
Altra questione che si pone, almeno in presenza di beni ereditari, è se la trascrizione dell'accettazione dell'eredità deve sussistere prima del è pignoramento oppure se la trascrizione dell'accettazione può essere effettuata dopo il pignoramento e se, in tale ultimo caso, il pignoramento conserva la sua efficacia.
Cass. civ. sez. III, del 26 maggio 2014 n. 11638 in pdf