L'art. 113 cpc stabilisce che al momento della sentenza il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità. Il giudice di pace decide secondo equità la causa il cui valore non eccede millecento euro.
Questo articolo impone al giudice di applicare le norme di diritto (codificate) e può decidere senza seguire tali norme (seguendo comunque un criterio di equità sostanziale) solo se la legge ammette una tale opzione. Il ricorso all'equità è genericamente ammesso per le sentenze del giudice di pace che non hanno un valore superiore ai 1100 euro.
Ai sensi dell'art. 339 cpc le sentenze del giudice di pace emesse secondo equità sono appellabili solo Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell'articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.
Dall'assetto scaturito dalla riforma di cui al d.lgs. n. 40 del 2006 e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge, infatti, che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell'ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, ai sensi dell'art. 113, co. 2 c.p.c., l'appello a motivi limitati, previsto dal co. 3 dell'art. 339 dello stesso codice, è l'unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di radicale assenza della motivazione.
In astratto questi principi comportano che in sede di impugnazione occorre valutare prima se vi poteva essere una sentenza pronunciata secondo equità, (questo perché, da un lato, se la sentenza non poteva essere pronunciata secondo equità non ci sono limiti all'appello, dall'altro la sentenza secondo equità comporta delle limitazioni per l'appello) poi, occorre valutare se i motivi di appello (rendono ammissibile l'appello) si traducono in palesi denunce di avvenute violazioni, da parte del giudice di pace, di norme sul procedimento e/o costituzionali, nonché di principi regolatori della materia, in conformità al disposto del comma 3 dell' 339 c.p.c.
Quindi, "nei confronti delle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell'ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, ai sensi dell'art. 113, co. 2 c.p.c., l'appello a motivi limitati, previsto dal co. 3 dell'art. 339 dello stesso codice, è l'unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, laddove i motivi di appello rientrino nelle tipologie di violazioni previste dalla norma succitata;
In teoria tutto potrebbe essere chiaro, in pratica occorre comprendere quali possono essere i motivi di appello contro una sentenza pronunciata secondo equità. In generale può dirsi che "i principi regolatori della materia non corrispondono a singole norme regolatrici della specifica materia in questione, né alle regole accessorie e contingenti che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva complessiva della materia stessa";
Rientra nei motivi di appello la contestazione della sentenza secondo equità quello in base al quale il giudice di pace non dichiarato la nullità di un ricorso per decreto ingiuntivo per la mancata indicazione delle "ragioni della domanda", ai sensi dell'art. 125 c.p.c., richiamato dall'art. 638 dello stesso codice. Siffatta violazione delle norme processuali si sarebbe tradotta nella violazione degli artt. 24 e 111 Cost., avendo l'omissione in parola impedito alla medesima il pieno esercizio del proprio diritto di difesa. Questa censura mossa dall' appellante alla decisione del giudice di pace, integra una palese violazione delle norme sul procedimento di ingiunzione suindicate, nonché delle succitate disposizioni costituzionali.
Anche la censura relativa alla mutatio libelli è contestabile in sede di appello, (come quando il giudice di pace sostituisce al controllo dell'impianto termico alla base del decreto ingiuntivo, la certificazione per la conformità dell'impianto) salva, ovviamente, il principio "iura novit curia", di cui all'art. 113, co. 1, c.p.c., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione anche princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. E tuttavia, tale regola deve essere coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.
Cass., civ. sez. I, del 27 luglio 2015, n. 15678 in pdf