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22 Ottobre 2024
10:45

Zoonosi: come i virus HIV, Ebola e COVID-19, hanno attraversato le barriere tra specie e infettato gli esseri umani

Inizialmente alcuni virus non erano in grado di infettare le cellule umane, limitandosi a colpire altre specie animali. Tuttavia, nel corso del tempo, hanno subito mutazioni che hanno permesso loro di oltrepassare le barriere biologiche e infettare l'uomo. Ma come avviene questo processo? È un fenomeno naturale o è influenzato dall'intervento umano?

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Il virus dell'HIV, quello responsabile dell'Ebola e il coronavirus che ha causato il COVID-19, a prima vista sembrano molto diversi tra loro. Tuttavia, questi tre agenti patogeni condividono un tratto fondamentale: inizialmente, nessuno di essi era in grado di infettare le cellule umane. Erano limitati ad attaccare solo altre specie animali. A un certo punto, però, questi virus hanno subito delle mutazioni che hanno permesso loro di superare le barriere biologiche tra le specie e infettare anche l'uomo. Questo fenomeno, chiamato zoonosi, è proprio ciò che si verifica quando un virus riesce a compiere il "salto" da una specie animale all'altra.

Le zoonosi rappresentano circa il 60% delle malattie che colpiscono l’essere umano, un dato confermato dal Ministero della Salute. In questo articolo, cercheremo di spiegarvi il fenomeno in modo chiaro e accessibile. Per farlo, ci siamo ispirati al libro “Spillover” del divulgatore scientifico David Quammen, autore saggista e divulgatore scientifico statunitense, con il quale abbiamo avuto il piacere di dialogare su Kodami.

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Dove si nascondono i virus: il ruolo degli "ospiti serbatoio"

È importante partire da un presupposto fondamentale: nonostante la nostra convinzione di essere i padroni del mondo, il nostro pianeta ospita un'infinità di virus, batteri e parassiti che rimangono sconosciuti e non studiati. In questo momento, mentre discutiamo, questi microrganismi proliferano indisturbati in angoli remoti o, nel caso specifico dei virus, si trovano all'interno di ospiti serbatoio. Concentrandoci sui virus, è essenziale comprendere che la maggior parte delle zoonosi ha origine in questi agenti patogeni. Gli ospiti serbatoio possono includere animali ben noti, come ratti, pipistrelli e pangolini, ma anche specie che non riusciamo nemmeno a immaginare. Gli studi suggeriscono che attualmente abbiamo catalogato solo dal 10% al 20% delle specie animali esistenti sulla Terra, il che implica che ci siano milioni di specie ancora da scoprire e che potrebbero avere altri milioni di microorganismi nascosti alla nostra conoscenza.

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All'interno dei loro ospiti serbatoio, i patogeni tendono a non causare danni significativi. Questo perché, dopo secoli di coevoluzione, virus e animali hanno trovato un compromesso: l'animale ospita il virus, e in cambio, quest'ultimo non lo danneggia. Anche nel nostro organismo convivono migliaia di miliardi di virus che non solo non sono nocivi, ma possono addirittura essere utili, contribuendo allo sviluppo delle nostre difese immunitarie e alla nostra flora intestinale.

Le cellule come fabbriche di virus

I virus hanno un unico obiettivo: riprodursi. Ma a differenza degli organismi viventi non sono autosufficienti per riuscirci e, per questo,  vengono definiti "entità biologiche". Per replicarsi, devono invadere le cellule di un organismo ospite e trasformarle in vere e proprie fabbriche di virus. In pratica, le cellule vengono "schiavizzate" e costrette a seguire le istruzioni genetiche del virus, creando copie identiche di esso. Per capire meglio, possiamo immaginare un virus come un libretto di istruzioni che contiene solo le informazioni necessarie per replicarsi, racchiuso in una custodia protettiva fatta di proteine. Le cellule infettate, come operai inconsapevoli, seguono queste istruzioni senza avere alcun controllo sul processo. I virus possono avere forme, dimensioni e rivestimenti diversi, ma una caratteristica che condividono è la presenza di proteine sulla loro superficie. Queste proteine funzionano come chiavi che si agganciano alle proteine presenti sulla membrana delle cellule, un po’ come una serratura che si apre solo con la chiave giusta. Questo meccanismo è cruciale per l'infezione, ed è proprio grazie a questo "incastro" che i virus riescono ad attaccare le cellule. È importante ricordare questo dettaglio, poiché ci aiuta a capire come un virus possa fare il cosiddetto "salto di specie".

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Il salto di specie: cos'è e come avviene

Finché un virus resta confinato nel suo ospite serbatoio, l'equilibrio ecologico è relativamente stabile. Tuttavia, se qualcosa spezza questo equilibrio – ad esempio, la caccia agli animali serbatoio da parte degli esseri umani, la deforestazione o altre attività antropiche – il virus può trovarsi senza un “rifugio”. A quel punto, ha due opzioni: morire o trovare un nuovo ospite. Ma il passaggio a una nuova specie, noto come "salto di specie" o "spillover", non è affatto facile.

Ricordate quelle proteine sulla superficie dei virus? Non si possono agganciare a qualsiasi tipo di cellula. Tuttavia, i virus mutano continuamente. Non lo fanno "volontariamente", ma le mutazioni avvengono a causa di piccoli errori che si verificano quando le cellule infettate replicano i virus. Ogni tanto, una di queste mutazioni rende il virus capace di infettare una specie diversa, dotata di cellule che si incastrano perfettamente con le nuove proteine virali. Quando questo accade, il virus è pronto per fare il salto verso un nuovo ospite. Nonostante questo processo sia fortemente basato sul caso, il tempo e l’esposizione al virus aumentano le probabilità di adattamento a una nuova specie. Più tempo trascorriamo a contatto con un individuo infetto, più possibilità ha il virus di adattarsi alle nostre cellule.

I salti di specie e la somiglianza filogenetica

Un altro fattore che facilita il salto di specie è la somiglianza filogenetica tra gli animali. In altre parole, quanto più due specie sono vicine nell'albero evolutivo, tanto più è probabile che un virus possa passare dall'una all'altra. Ad esempio, noi esseri umani siamo più vulnerabili ai virus trasmessi da altri mammiferi, rispetto a quelli che infettano insetti come le formiche. In molti casi, il virus non salta direttamente dal suo serbatoio originale all'uomo, ma può passare attraverso un "ospite intermedio". Un esempio celebre è il virus Ebola. Nel 1996 ci fu il caso del villaggio del Gabon, in Africa, 18 persone si ammalarono dopo aver consumato carne di uno scimpanzé infetto. Sebbene non si conosca con certezza quale sia il serbatoio naturale del virus Ebola, sappiamo che gli scimpanzé possono fungere da ospiti intermedi, trasmettendo il virus all'uomo.

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Gli ospiti intermedi e il ruolo di "amplificatori"

In alcuni casi, gli ospiti intermedi possono amplificare il virus, permettendogli di replicarsi in modo più efficiente e di diffondersi più rapidamente. Un esempio significativo è il virus Hendra, un patogeno mortale che infetta l'uomo. Le volpi volanti, pipistrelli nativi dell’Australia, fungono da serbatoio naturale del virus, ma non lo trasmettono direttamente agli esseri umani. Il virus Hendra si diffonde agli umani attraverso i cavalli, che agiscono come ospiti amplificatori. Nel 1994, in un sobborgo di Brisbane, diversi cavalli si ammalarono gravemente dopo aver pascolato vicino a un albero dove i pipistrelli defecavano, contaminando l'erba di cui si nutrivano. L'addestratore dei cavalli si ammalò gravemente nel tentativo di curarli, e solo in seguito si scoprì che il virus Hendra aveva compiuto il salto dai pipistrelli ai cavalli, e da questi all'uomo. In questo caso, i cavalli hanno moltiplicato enormemente il numero di virus, aumentando così le possibilità di trasmissione all’uomo.

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Malattie emergenti ed epidemie

Lo spillover, non sempre porta a una diffusione ampia della malattia. In molti casi, si tratta di un evento isolato che non rappresenta una minaccia su larga scala. Tuttavia, quando un virus comincia a contagiare più persone, si parla di "malattia infettiva emergente". L'Ebola, ad esempio, rientra in questa categoria. Dall'altro lato, ci sono anche le "malattie infettive riemergenti", come la tubercolosi, che dopo un periodo di apparente scomparsa, tornano a colpire la popolazione.

La definizione dipende dall'epidemiologia, ovvero quella branca dell'igiene che si occupa delle modalità d'insorgenza, di diffusione e di frequenza delle malattie in rapporto alle condizioni dell'organismo, dell'ambiente e della popolazione. Ogni patogeno, a seconda delle sue caratteristiche e del modo in cui si trasmette – che può essere diretto, indiretto o tramite vettori come le zanzare – ha bisogno di un numero minimo di persone vulnerabili per propagarsi. Questo gruppo, chiamato "bacino di individui suscettibili", include tutte le persone che possono contrarre la malattia in un determinato momento e in una specifica area geografica, escludendo chi è già infetto, chi è guarito ed è diventato immune, e ovviamente chi è deceduto. Se il numero di individui suscettibili è sufficiente, il virus può continuare a diffondersi; se invece il numero cala, l’epidemia rallenta e si esaurisce. Un altro indicatore chiave è il "numero di riproduzione di base", indicato con R0 (erre con zero). Questo parametro esprime quante persone, in media, un individuo infetto può contagiare in una popolazione dove tutti sono vulnerabili. Se R0 è inferiore a 1, il virus non riesce a diffondersi efficacemente, e l'epidemia si spegne; ma se supera 1, la malattia può crescere in maniera esponenziale. Quando R0 aumenta di molto, c’è il rischio di una pandemia. Un esempio eclatante è stato il COVID-19: al suo picco, il numero di riproduzione di base oscillava tra 3 e 5, un segnale preoccupante della rapidità con cui si stava diffondendo.

Le zoonosi stanno aumentando?

Negli ultimi decenni, le zoonosi, cioè le malattie che passano dagli animali all'uomo, sono aumentate in modo significativo. A partire dagli anni '50, abbiamo assistito a un vero e proprio boom: oggi il 75% delle malattie infettive emergenti è di origine zoonotica, una percentuale mai registrata prima nella storia dell'umanità.

Qual è la causa di questa impennata?

Alcune teorie complottiste suggeriscono che le zoonosi possano essere il risultato di fughe da laboratori di ricerca, ma la realtà è ben diversa. Sebbene in rari casi possano esserci episodi legati alla gestione inappropriata di agenti patogeni in laboratorio, la maggior parte delle zoonosi emerge spontaneamente in natura. Gli animali selvatici e domestici, infatti, sono costantemente in contatto con i microrganismi presenti negli ecosistemi in cui vivono, favorendo la nascita e la diffusione di nuove malattie.

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Zoonotic disease infograph from CDC – 2021

Un fattore decisivo è la crescita demografica e lo sviluppo tecnologico degli ultimi 100 anni. La popolazione mondiale è più che quadruplicata, raggiungendo gli attuali 8 miliardi di persone. Questa espansione, insieme all'intensificazione delle nostre attività economiche, ha alterato profondamente gli equilibri ecologici. Deforestazione, inquinamento, espansione urbana e l’allevamento intensivo, sono tutte attività che distruggono gli habitat naturali e aumentano il contatto tra l’uomo e gli animali selvatici, creando le condizioni ideali per la diffusione di nuovi patogeni.

In sintesi, siamo noi stessi a creare le circostanze che favoriscono il salto di specie dei virus. Ogni volta che interveniamo sugli ecosistemi, mettiamo a rischio l'equilibrio tra le specie, e di conseguenza, anche la nostra salute. Questo fenomeno ci ricorda quanto siamo interconnessi con l'ambiente e le altre forme di vita sul pianeta. Non siamo padroni della natura, ma parte di un sistema complesso, dove ogni azione può avere conseguenze importanti.

Ricordiamo quanto sia urgente monitorare e gestire le malattie animali per prevenire non solo la perdita di biodiversità, ma anche i potenziali rischi per la salute umana. La gestione sostenibile degli ecosistemi, associata a una rigorosa sorveglianza sanitaria, sarà cruciale per contenere la diffusione di questi patogeni e ridurre il rischio di future pandemie.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it/kodami sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra il paziente ed il proprio veterinario.
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