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Cosa succederebbe se gli animali riuscissero a fare valere le proprie posizioni in Tribunale e a difendersi in maniera autonoma dallo sfruttamento da parte dell'essere umano? Può sembrare la premessa di un romanzo fantascientifico ma in realtà potrebbe trattarsi di uno scenario più vicino di quanto pensiamo.
Con l'avvento dell'intelligenza artificiale il nostro modo di approcciarci alla realtà è profondamente cambiato. L'AI si è rivelata capace di influenzare le nostre vite quotidiane integrandosi nella routine quotidiana e professionale, ma resta uno strumento, e in quanto tale di per sé non è buona né cattiva: si nutre delle informazioni che riceve così come dei pregiudizi e dei bias di cui non siamo neanche consapevoli. Tuttavia ha anche un risvolto inaspettato: con i giusti input può dare voce a chi ne è sprovvisto.
Per questo i ricercatori del Project Cetacean Translation Initiative (CETI) stanno mettendo in discussione tutto ciò che conosciamo della comunicazione animale e aprendo le porte a nuove considerazioni legali ed etiche. Protagonista di questa rivoluzione è proprio l'AI, come emerge da un un recente articolo articolo di cui è già disponibile la preview, nel quale il team di studiosi esamina le implicazioni della comprensione della comunicazione degli animali non umani. La domanda è: se potessimo fare parlare i cetacei, questo potrebbe rimodellare il contesto giuridico?
Cosa vuol dire dare voce ai capodogli con l'AI
Secondo gli esperti guidati da César Rodríguez-Garavito l'Intelligenza artificiale applicata alla bioacustica, la scienza che studia i suoni emessi dagli animali, ha il loro potenziale per rimodellare il diritto degli animali non umani.
E i mammiferi marini come balene e capodogli sono i candidati ideali per questo esperimento grazie alla loro comunicazione ricca e complessa, adatta a sostenere un'organizzazione sociale articolata. I suoi indistinti che percepiamo quando, con gli strumenti giusti tendiamo l'orecchio al mare e ai cetacei, sono parte di un sistema linguistico che nonostante sia molto diverso dal nostro assolve alla medesima funzione: scambiarsi informazioni ed esprimere le proprie percezioni. Di più: molte specie di mammiferi marini sviluppano dei veri e propri dialetti in seno alla comunità di appartenenza.
Che esista un linguaggio specie-specifico proprio dei cetacei è un dato di fatto da tempo accertato dalla comunità scientifica, e anche l'impiego dell'AI per la "traduzione" non è una novità dato che anche il colosso Google, insieme ai ricercatori del Georgia Institute of Technology e al Wild Dolphin Project (WDP), ha elaborato un software che promette di interpretare il linguaggio dei mammiferi marini.
Gli esperti di CETI però hanno deciso di fare un passo avanti: utilizzando tecniche avanzate di apprendimento automatico e robotica vogliono comprendere cosa si dicono i capodogli per comprendere le loro relazioni e il loro livello di sofferenza. Per farlo, stanno costruendo un ampio set di dati acustici e comportamentali, unico nel suo genere, per addestrare la tecnologia a osservare la comunicazione delle balene nel contesto e a tradurla. Il primo effetto di questo lavoro è dimostrare che l'inquinamento acustico marino disturba la comunicazione dei cetacei, col rischio potenziale di compromettere le loro relazioni e quindi la sopravvivenza.
Anche in Italia è in corso un progetto analogo portato avanti nell'Area Marina Protetta di Punta Campanella, in Campania. Gli esperti dell'Amp hanno avviato con la Stazione Zoologica Anton Dohrn il monitoraggio eco-acustico grazie a un idrofono installato nei fondali tra i golfi di Napoli e Salerno. Questo strumento mapperà i paesaggi sonori sottomarini e acquisirà informazioni sulla pressione antropica in queste acque: anche l'inquinamento acustico ha infatti un peso nell'ecosistema marino, soprattutto per le specie che utilizzano i suoni per comunicare tra loro.
I ricercatori del CETI, dopo aver acquisito i dati relativi alla comunicazione dei capodogli e aver valutato l'impatto del disturbo umano sulla sua qualità sperano di ottenere informazioni più approfondite anche sulla loro sofferenza. E cosa succederebbe se
Difendersi in Tribunale con la propria voce
Il CETI vuole valutare come la comprensione del contenuto della comunicazione possa migliorare la regolamentazione dell'inquinamento acustico cronico subacqueo ai sensi dell'Endangered Species Act e del Marine Mammal Protection Act.
Una volta ottenute queste informazioni, vuole incrociarle con quelle che sono le attuali leggi sui diritti umani sul non subire torture e sulla partecipazione alla vita culturale vuole. Questa analisi potrebbe trasformare la posizione che i cetacei occupano negli ordinamenti dei diversi Paesi, passando dall'essere mera proprietà a soggetti di diritto.
Gli attivisti per i diritti degli animali da anni provano a fare riconoscere gli animali come esseri dotati di autocoscienza e come tali titolari di diritti propri. Il caso più eclatante riguarda ancora una volta grandi mammiferi, questa volta terrestri: gli elefanti. L'organizzazione per i diritti degli animali NonHuman Rights Project ha chiesto alla Corte Suprema del Colorado di riconoscere a 5 elefanti di uno zoo statunitense gli stessi diritti delle persone ingiustamente detenute. Il giudice però a gennaio 2025 ha escluso che ciò sia possibile riconoscere un animale come soggetto delle leggi umane, spiegando che "non importa quanto possa essere cognitivamente, psicologicamente o socialmente sofisticato".
Ma se gli animali potessero comunicare in Tribunale spiegando il loro stato di sofferenza davanti a inquinamento, caccia, e cattività, siamo sicuri che i giudici resterebbero fermi sulle loro posizioni? Solo perché non li capiamo non significa che gli animali non provino sofferenza, amore, gioia, e speranza.