È sospesa la caccia in Piemonte a quattro specie di uccelli: pernice bianca, fagiano di monte, coturnice e moretta. Lo ha deciso il Tar accogliendo il ricorso presentato da tre associazioni ambientaliste e animaliste: Oipa, Leal e Federazione Nazionale Pro Natura. Il giudice entrerà nel merito del contenzioso il prossimo novembre, ma fino ad allora gli animali sono salvi.
Il ricorso si basa sull'assenza in Piemonte di un Piano faunistico venatorio regionale, che la legge nazionale sulla caccia considera un requisito obbligatorio e indispensabile per poter procedere con l’attività venatoria. Non è la prima volta che accade: anche in altre Regioni la giustizia amministrativa ha sospeso la caccia in assenza del Piano faunistico venatorio, è successo ad esempio proprio quest'anno in Campania.
Cos'è il piano faunistico venatorio regionale
I Piani faunistico-venatori sono gli strumenti attraverso i quali le singole Regioni definiscono le linee di indirizzo sia per quanto concerne la gestione della fauna selvatica, sia per l'attività venatoria. Questi Piani dovrebbero essere adottati con cadenza regolare di circa 5 anni, ma molte amministrazioni regionali ne rimandano l'approvazione.
In assenza di questi non si potrebbero approvare neanche i calendari venatori che stabiliscono quali specie è possibile cacciare e in quali periodi dell'anno, tuttavia, per evitare di bloccare l'attività venatoria, molte Regioni scelgono di procedere con il calendario senza prima aver creato il Piano faunistico-venatorio.
Le motivazioni della sospensione
In Piemonte il ricorso però è stato accolto solo parzialmente: le associazioni avevano chiesto la sospensione dell'intero calendario venatorio proprio perché approvato in assenza del Piano, mentre i giudici hanno accordato la sospensione solo per le quattro specie di volatili alpini ritenuti particolarmente a rischio.
Le popolazioni di pernice bianca, fagiano di monte, coturnice e moretta sono ritenute in diminuzione o addirittura a rischio di estinzione, tanto che l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), la massima autorità scientifica pubblica in tema di fauna selvatica, aveva già suggerito di escluderle da quelle cacciabili o adottare per loro precauzioni molto stringenti.
Una scelta che ha trovato in disaccordo le associazioni ambientaliste: «La Regione Piemonte non ha voluto tenere conto delle indicazioni che provengono dal mondo scientifico adducendo giustificazioni superficiali e basate su dati vecchi e ampiamente superati».
Non è un caso che le specie dell'arco alpino siano in pericolo: i cambiamenti climatici hanno causato profonde modificazioni del loro habitat, e l'effetto negli ultimi anni sta compromettendo la loro sopravvivenza.