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All'indomani della prima serata del Festival di Sanremo sono due le canzoni che hanno sollevato maggiore dibattito, soprattutto perché vanno a toccare due patologie che coinvolgono, purtroppo, moltissime persone in tutto il mondo. Fedez nel suo brano "Battito" parla della depressione, definita dall'OMS come il “Il male del secolo”. Simone Cristicchi con "Quando sarai piccola" racconta di un figlio che deve affrontare l'Alzheimer della madre, una malattia neurodegenerativa.
Per entrambe queste patologie che colpiscono l'essere umano, un alleato di grande supporto è ‘il miglior amico dell'uomo'. Ebbene sì, tra le tante capacità dei cani ci sono anche quelle di riuscire a riconoscere il nostro stato emotivo, fino a poter essere d'aiuto – in alcuni casi – per la cura della depressione, e anche a fiutare l'Alzheimer.
E' la scienza ad aver sottolineato questo ennesimo ruolo che l'uomo ha affidato al cane attraverso l'educazione di quest'ultimo che va a stimolare, in realtà, capacità cognitive che ha di suo e che vengono direzionate a nostro supporto.
Il punto di partenza prima di andare a fondo è però sapere che per il cane, se non ben guidato a sua volta, c'è un costo da pagare nello svolgere questo tipo di attività. La pet therapy, che ancora così è comunemente nota, è stata infatti modificata in "Interventi Assistiti con Animali" proprio per aggiornare i protocolli di applicazione che sono diventati più rigidi, a fronte di una tutela maggiore dei cani che vengono coinvolti nei progetti di assistenza ai pazienti. E' importante sottolinearlo perché è evidente che il ruolo del cane non è basato su una scelta di quest'ultimo ma proprio per l'uso che l'essere umano fa delle sue capacità non solo fisiche, come l'uso del naso, ma proprio emotive e, in particolare, empatiche.
Come e se i cani aiutano le persone che soffrono di depressione
Per la cura della depressione c'è un grande dibattito nella comunità scientifica se il cane abbia realmente un ruolo ‘attivo' nella cura dei sintomi. E stato paventato, soprattutto in passato, da diversi studi scientifici che la presenza di un cane migliora il benessere della persona che ne soffre. Uno più recente e che può essere utile come esempio a favore della teoria che il cane sia da sostegno per chi soffre di depressione, è stato fatto prendendo a campione diverse persone durante il periodo della pandemia. Il lockdown infatti ha fatto insorgere in una percentuale più alta della popolazione sintomi depressivi rispetto alla media precedente, dovuti chiaramente alla condizione in cui tutti eravamo a causa della diffusione della Covid-19.
Lo studio, pubblicato nel 2021, ha dimostrato che vivere con un cane in quel periodo ha fornito alle persone un più forte senso di sostegno sociale, che a sua volta potrebbe aver contribuito ad attutire alcuni degli impatti psicologici negativi causati dalla pandemia.
Non si deve pensare, però, che un animale domestico sia la cura per la depressione o che ciò che la scienza ci dice valga sempre per tutti. Nel 2020, un'altra ricerca ha infatti osservato gli effetti della compagnia di un cane nella vita delle persone anziane. Gli esperti hanno esaminato proprio le associazioni tra la presenza di un animale domestico e i sintomi della depressione in un ampio campione di anziani basato sulla popolazione inglese. I risultati, però, in questo caso non portano alle stesse conclusioni degli studi precedenti, anzi. Lo studio infatti ha sfatato il luogo comune che in tanti pensano sia giusto mettere in pratica, ovvero quando si pensa ad esempio di ‘regalare' un cane ai genitori anziani quando sono rimasti da soli e i figli non ci sono più. "Tra gli anziani in Inghilterra, coloro che presentano maggiori sintomi depressivi hanno maggiori probabilità di possedere un cane – hanno concluso i ricercatori – ma possedere un animale domestico non è significativamente associato a un cambiamento dei sintomi depressivi nel tempo.
La letteratura scientifica in merito è dunque molto variegata e presenta risultati opposti, per questo abbiamo trovato uno studio che ha cercato proprio di tirare le somme per rispondere al quesito se il cane aiuti davvero la persona di riferimento in caso di depressione. Si tratta di una ricerca pubblicata nel 2022 su Frontiers intitolata proprio "Uno studio trasversale sull'associazione tra la relazione cane-proprietario e il benessere mentale dell'umano". I risultati a cui sono giunti in questo caso i ricercatori statunitensi ha portato a questa conclusione: è la relazione che conta. Cosa significa? Che le variabili in gioco sono davvero tante ma tutto dipende dal tipo di rapporto che si è instaurato con l'animale e quanto l'impegno emotivo che noi ci mettiamo possa ad alcuni addirittura far peggiorare i sintomi della depressione (ad esempio: il cane che si ammala, le spese da sostenere, l'impatto emotivo della dipendenza di Fido) o migliorarli (ad esempio: il rapporto d'affetto e di cooperazione, l'affiliazione l'uno verso l'altro).
"A seconda del proprietario del cane e della loro relazione unica – concludono gli esperti – possedere un animale domestico può influenzare positivamente o negativamente il benessere mentale della persona. Tuttavia, è fondamentale che i cani aiutino anche le persone a gestire altri aspetti delle loro emozioni negative e/o difficoltà di salute mentale come ansia, depressione e pensieri suicidi. Ciò suggerisce che gli esseri umani di riferimento potrebbero cercare supporto emotivo dai loro cani per aiutarli a gestire il loro benessere mentale, ma questo non avviene senza un certo peso che giustifica ulteriori indagini".
Come e se i cani possono aiutare le persone affette da Alzheimer
Uno studio tutto italiano, condotto dal professore Fausto Quintavalla del dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie dell'Università di Parma e pubblicato su Animals nel 2021, ha portato a comprendere che alcuni pazienti affetti dal morbo di Alzheimer che sono stati in contatto con tre cani da supporto, a differenza di coloro che non lo hanno fatto, "hanno avuto la possibilità di giovarsi della presenza del cane e hanno ottenuto un miglioramento complessivo del proprio stato di benessere percepito, anche sul piano cognitivo e mnemonico".
Allo studio hanno partecipato veterinari esperti in comportamento, istruttori cinofili con approccio cognitivo zooantropologico e psicologi dell'Università di Parma che hanno lavorato in sinergia per arrivare alla conclusione che i cani hanno portato ad un miglioramento “del benessere sociale e globale” delle persone malate.
Uscendo però dall'alveo delle possibilità che un cane ha o meno di contribuire a un miglioramento delle condizioni psichiche dell'essere umano, c'è un altro ‘compito' che abbiamo sempre dato a Fido nell'ambito del supporto sanitario nei nostri confronti: usare il suo naso e dunque sfruttare il suo fiuto.
Come per il cancro, anche per il morbo dell'Alzheimer si è provato a valutare addirittura già nel 2016 se le capacità olfattive di Fido potessero percepire in particolare le fluttuazioni delle sostanze chimiche urinarie che accompagnano le fasi iniziali della malattia. Lo studio fu condotto dal Monell Chemical Senses Center del Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti e dalla Case Western Reserve University. I ricercatori valutarono i cambiamenti biochimici associati alla progressione della malattia sui topi, giusto per arrivare però a dire che l‘odore poteva essere rilevato e per questo si speculò poi sull'uso dei cani per la diagnosi.
Ad oggi, però, nulla è stato ancora scientificamente provato ed è stato anche sconfessato questo studio da diverse fonti scientifiche che affermano invece che non esistano molecole olfattive specifiche per il riconoscimento dell'Alzheimer.