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27 Dicembre 2024
18:44

«Ritorniamo nei boschi: l’unico modo per proteggere la Natura è viverla». L’appello del fotografo naturalista

Per diventare esperti di fotografia naturalistica ci vuole sangue freddo e un amore viscerale nei confronti della Natura. Ma oggi secondo il fotografo Marco Colombo siamo così lontani dagli animali e dall'ambiente da aver dimenticato che la Terra è anche la nostra casa.

Intervista a Marco Colombo
Fotografo naturalista
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Gatto selvatico (Foto di Marco Colombo)

Siamo tutti malati di amnesia ecologica: guardiamo la Natura da uno schermo e non sappiamo più cosa sia l'odore del bosco. La denuncia arriva dal fotografo naturalista Marco Colombo che raggiunto dalla redazione spiega che per iniziare a prenderci davvero cura della Terra dobbiamo capire che è anche il nostro habitat.

Cos'è l'amnesia ecologica e perché non andiamo più nella Natura

«Una delle più grandi minacce alla conservazione è l'amnesia ecologica cioè il totale distacco dalla natura. Sento dire "non camminare sul sentiero perché non è casa tua" oppure "guarda un documentario non c'è bisogno di andare nel bosco", ma fruire della Natura in questo modo crea un'idealizzazione che fa perdere un contatto con quello che è il nostro pianeta reale. Per un coinvolgimento emotivo e quindi in prima persona nella conservazione c'è bisogno di provare emozioni vere, viscerali».

Colombo, 36 anni, è uno dei fotografi naturalisti più noti del panorama internazionale. Grazie alle sue immagini ha contribuito anche a scoperte e segnalazioni scientifiche relative a numerose specie. Ma prima di ogni cosa è un fan "del non ho visto niente": «Quando si visita un parco naturale si deve restare sul sentiero ed evitare di andare a cercare l'orso, ma già solo camminare nel bosco, anche senza vedere nulla di eclatante rende possibile trovare un'impronta della Natura, e sentire i suoi profumi. Quando mi succede sono contento lo stesso. Si tratta di sensazioni che non possono essere sostituite da un divano, da uno schermo. Questo credo sia innegabile».

Un invito, quello a vivere l'ambiente naturale, che va in netto contrasto con gli appelli a restarne fuori, quasi che il Pianeta non appartenga anche alla specie Homo sapiens. Questo invito, che arriva anche dalle associazioni di tutela ambientale, secondo il fotografo causa un effetto rebound che porta le persone a disinteressarsi della Terra e degli animali che la abitano. All'estremo opposto della noncuranza ci sono però i cacciatori di selfie che inseguirebbero un orso nel bosco pur di assicurarsi una sua immagine, fenomeno ben noto in Abruzzo dove gli orsi bruni marsicani più noti come Amarena e Juan Carrito per anni sono stati braccati dagli smartphone.

«I fotografi professionisti specializzati nel settore naturalistico in Italia sono davvero pochi. Il grosso delle persone che si approccia alla fotografia naturalistica quindi sicuramente è composto da foto amatori. Senza demonizzare nessuna categoria, alcuni sono molto preparati, ma per fare questo lavoro devi conoscere davvero bene il soggetto che cerchi e come muoverti, proprio per arrecare il minor disturbo possibile».

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La Bibbia del fotografo professionista, e di chi si approccia a diventare tale, è composta da una serie di regole pensate proprio per non arrecare danno all'animale che si va a immortalare. «La conoscenza del soggetto è fondamentale – sottolinea il fotografo – Innanzitutto per poterlo trovare, perché si tratta di animali selvatici, non sono a nostra disposizione, e quindi non è sempre facile. Esiste poi un'etica di questo lavoro perché conoscere come si comporta l'animale ti permette di capire le sue reazioni e quindi di sapere esattamente quali sono le fasi più critiche, oppure sapere cosa evitare per non disturbarlo. In generale, rispettare i regolamenti dei parchi è il primo passo».

Una volta superato il primo step della conoscenza dell'altro si può passare all'azione sul campo. «Il coronamento di un sogno che avevo fin da piccolo era quello di nuotare con gli squali in Mediterraneo. Sono fluidi come se fossero acqua nell'acqua. Li ho visti mentre ero impegnato nel progetto The Wild Line sulla biodiversità del Mediterraneo».

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Credit: The Wild Line

Gli incontri più belli e i rischi di fotografare la Natura

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Non ci sono solo animali carismatici come lo squalo: il terreno e i suoi anfratti brulicano di vita. «Tra gli incontri più emozionanti c'è quello con il proteo una salamandra cieca bianca che vive all'interno delle grotte, e che io ho visto in Friuli Venezia Giulia – ricorda Colombo – Può arrivare a 100 anni di età e digiunare per otto anni di fila. È una sorta di drago in miniatura e cercarlo non è facile: vive all'interno di laghi sotterranei e bisogna andare in immersione con l'aiuto di speleologi esperti».

L'altra faccia della medaglia di questo lavoro è il rischio che si corre nel ricercare lo scatto perfetto. Ma come aveva già spiegato anche la campionessa di apnea Alessia Zecchini, anche nel caso di Colombo non è l'oggetto della passione a fare paura, ma quello che lo circonda. «Non mi sono mai sentito in pericolo se non per le condizioni ambientali. I fiumi, ad esempio, sono particolarmente rischiosi per le immersioni, perché richiedono di andare in apnea anche quando sono molto torbidi e freddi, o c'è molta corrente. In alcuni casi ho trovato lenze, ami abbandonati, ma anche bombe a mano. Per quanto riguarda gli animali invece non ho mai avuto una percezione di pericolo perché, finora, sono sempre riuscito a interpretare correttamente le situazioni, quindi non sono mai arrivato al punto in cui l'animale si trovasse costretto a reagire in qualche modo per difendersi».

Un approccio che viene da un amore viscerale per la Natura e i suoi abitanti che accomuna tanti giovani fotografi: «Amo gli animali da quando ho memoria. Da piccolo avevo una serie di taccuini in cui disegnavo gli animali che incontravo con accanto delle note. Non lo sapevo ancora ma era proprio il tipico taccuino da naturalista. Col tempo ho sostituito il disegno con la fotografia. Questo passaggio alla fotografia ha avuto poi due fasi: nella prima fotografavo per portare a casa il ricordo di quello che incontravo, nella seconda fase invece è diventato una forma per raccontare delle storie».

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Marco Colombo
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