Centinaia di metri quadri di fondale marino sono stati liberati dalle reti fantasma. È il risultato dell’operazione “Ghostnets” condotta dall'Ispra lungo la costa siciliana, tra Augusta e Siracusa.
Ben 60.000 metri quadrati di fondale marino sono stati ispezionati, e oltre 30 reti fantasma lunghe fino a 260 metri, pari all’incirca a un grattacielo di 100 piani, sono state recuperate a una profondità tra i 40 e i 60 metri. A beneficiarne sono stati gli organismi marini, animali e vegetali, che ogni anno rischiano di venire uccisi o danneggiati dalle "reti fantasma".
Cosa sono le reti fantasma e perché sono pericolose
Le reti fantasma sono reti da pesca abbandonate in mare. Queste, anche se non sono più utilizzate dai pescatori, continuano a provocare enormi danni sia alla flora che alla fauna marina. Sono vere e proprie trappole che infestano i mari e i fondali.
La loro diffusione è cresciuta negli ultimi decenni a causa dell’intensificarsi dell’attività di pesca e dell’impiego di materiali sintetici, più economici e resistenti ma anche più dannosi per l’ambiente rispetto alle fibre vegetali utilizzate per reti tradizionali, come la canapa. Queste reti continuano a esercitare la cosiddetta “pesca fantasma”, pur non essendo più sottoposte al controllo umano, restano attive e continuano a catturare flora e fauna marina.
I danni provocati dalle reti riguardano:
- Praterie di Posidonia oceanica: subiscono danni fisici, come ombreggiamento e abrasione, che uccidono o sradicano le piante;
- Coralligeno: le specie sessili vengono strappate, spezzate, ricoperte e abrase, subendo gravi ripercussioni;
- Fauna marina vagile: rimane intrappolata o ferita dalle reti, che continuano la loro azione di cattura anche dopo aver perso ogni controllo.
Per liberarsi di loro entrano in azione i "Ghostbusters dei mari" che una volta portate le reti a bordo procedono a un setaccio meticoloso per consentire la fuoriuscita di ulteriori esemplari di ricci matita, stelle marine, piccoli scorfani, ricci di prateria e svariati crostacei, salvaguardando così il maggior numero possibile di organismi marini.
Le reti recuperate poi vengono trasportate verso i luoghi di smaltimento e, dove possibile, avviate al riciclo, contribuendo a promuovere l’economia circolare e riducendo l’impatto ambientale dei rifiuti marini.
L'operazione di Ispra per liberare i fondali marini
L’intervento condotto dall'Ispra in Sicilia con l’operazione “Ghostnets” è parte del progetto MER (Marine Ecosystem Restoration) finanziato dal Pnrr, è stato realizzato con il supporto della rete Ghostnets (CASTALIA, CONISMA e MAREVIVO) e ha permesso di recuperare varie tipologie di reti: a strascico, da posta, grovigli di cime, lenze e nasse e di liberare specie protette rimaste intrappolate.
«Con questa operazione, centinaia di metri quadrati di habitat pregiati potranno gradualmente tornare a “respirare” e favorire la ricolonizzazione da parte delle specie marine circostanti. “Questa campagna di recupero è un grande passo avanti per la tutela dei nostri mari – spiegano i ricercatori di Ispra – ma rimane fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra gli operatori del settore e continuare a investire in tecnologie e politiche di prevenzione». Tutto questo è stato reso possibile dalla legge 60 del 2022 “Salva Mare” che ha qualificato le reti abbandonate e recuperate come rifiuti urbani da riciclare o smaltire.
Dopo una fase preliminare di ricognizione, che ha permesso di mappare e caratterizzare i fondali con strumentazione specializzata, gli operatori tecnici subacquei, supportati da due imbarcazioni, hanno ispezionato circa 60.000 metri quadrati di fondale, con una modalità del tutto particolare.
Gli operatori si immergono tramite una “stage” o “gabbia” collegata alla nave di supporto e restano costantemente in contatto con la superficie attraverso un “cordone ombelicale” multifunzione (fornisce aria o miscele respiratorie, comunicazioni audio/video e assistenza). Una volta localizzate le reti, gli operatori le sganciano dal fondale, tagliandole se necessario in sezioni maneggevoli, per poi fissarle a cavi o sagole che consentono di sollevarle con un verricello fino in superficie.