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15 Gennaio 2025
15:55

Pitbull: perché sono sempre loro i cani che uccidono?

La morte di Patricia Masihtela Di Neo pochi giorni fa è solo l'ultimo caso di cronaca che ha visto Pitbull o incroci di questa razza come "protagonisti" di eventi tragici, ma non solo questa tipologia è spesso nell'occhio del ciclone. Proviamo insieme a conoscere chi è e cosa prova un cane dall'aspetto duro e dall'anima fragile e a comprendere di chi è davvero la responsabilità in episodi orribili come questi.

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Oggi si piange ancora un'altra vittima della nostra negligenza: Patricia Masihtela Di Neo, una donna la cui vita è finita orribilmente a causa dell'aggressione di alcuni cani di proprietà, di cui si sa che alcuni sono mix Pitbull, all'interno della villa in cui erano stati lasciati incustoditi.

E', purtroppo, solo l'ultimo caso di una serie di tragici eventi che recentemente hanno portato alla fine di altre esistenze e che ci porta ancora una volta a riflettere sulla coesistenza tra determinate razze o incroci di certe tipologie di cani e la nostra specie.

L'11 febbraio del 2024 a Manziana, in provincia di Roma, è finita la vita di Paolo Pasqualini in un giorno come tanti altri in cui era andato a correre nel bosco dove è stato raggiunto da tre Rottweiller fuoriusciti dalla villa in cui abitavano.

Il 22 aprile dell'anno scorso a Campolongo, frazione di Eboli, due Pitbull hanno posto fine alla vita di Francesco Pio, un bimbo di 13 mesi che era ospite in una casa in cui vivevano gli animali che lo hanno aggredito e ucciso.

Ricordiamo questi episodi ma sono solo i più recenti: la storia della convivenza tra determinate tipologie di cani e gli esseri umani, in tutto il mondo, rimanda altri casi in cui delle cause per cui si è scatenato si parla poco ma è il comportamento aggressivo ad aver portato alla morte di persone che sono vittime, principalmente, dell'inconsapevolezza, della negligenza, dell'ignoranza e della superficialità con cui sono stati trattati gli animali. E dell'assenza di controlli e applicazione anche di norme già esistenti da parte delle autorità preposte, giusto per non dimenticarsi che una società civile è tale se le responsabilità dei singoli sono un onere di cui deve farsi carico chi gestisce la cosa pubblica.

Ma perché sono sempre queste, e poche altre, le tipologie di cani che diventano "killer", come se fossero esseri umani ma a nostra differenza senza possibilità di avere "un processo equo" e condannati a un "fine pena mai" in canile? Da cosa dipende?

Una prima risposta la diamo subito però, per sfatare il mito che siano queste razze le più pericolose in assoluto: il numero di aggressioni subite dagli esseri umani vede in prima posizione anche altre tipologie a cui difficilmente potremmo associare l'idea che possano causare danni gravi. Come ha scritto infatti su Kodami Laura Arena, veterinaria esperta in benessere animale, «gli studi epidemiologici sulle morsicature da parte di cani elencano tra le razze principalmente responsabili di aggressioni a persone, in primis, il Pastore Tedesco e suoi incroci, i meticci, il Cocker e lo Spring Spaniel, specialmente per le aggressioni dirette a familiari, il Labrador e Golden Retriever e i Terrier».

Ecco, delle razze che abbiamo evidenziato in neretto è difficile pensare che ci possano essere soggetti "feroci" tanto quanto quelli che vengono così poi etichettati tra i molossi o i Terrier di tipo Bull. Ma ciò avviene solo perché il danno che causano è inferiore a quello di questi ultimi, semplicemente, e perché la possibilità di intervenire per fermare il comportamento aggressivo avviene con margini molto più ampi di azione da parte dell'umano, considerando le loro motivazioni di base che sono nettamente differenti da individui che invece appartengono alle altre tipologie.

Il punto, ridotto in poche parole, è – ricordando sempre che ogni cane ha la sua personalità e individualità – che dobbiamo pensare sempre alla selezione che abbiamo operato sul "miglior amico dell'uomo" che fa sì, appunto, che un Cocker "arrabbiato" comunque in termini di effetti causati non è paragonabile a un Pitbull altrettanto "irritato".

Non dimenticandoci, inoltre, che dal punto di vista legislativo nel nostro Paese è stato stabilito che non è possibile classificare come pericolosi o potenzialmente pericolosi determinati cani con la cosiddetta “Ordinanza Martini” del 2009, in cui è stato specificato che «come confermato dalla letteratura scientifica di Medicina Veterinaria, non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane sulla base della razza».

Perché nelle aggressioni sono coinvolte sempre le stesse razze: Pitbull ma non solo

Pitbull, Cane Corso e Rottweiler: ecco dunque tre delle razze principali che sono puntualmente sulla bocca di tutti. Ma ci sono anche altre tipologie di cani che finiscono per causare danni irreparabili e diventare oggetto della discussione per un'opinione pubblica che ogni volta si spacca in due, tra chi ritiene che semplicemente questi cani non debbano esistere e chi invece addirittura si sente legittimato a colpevolizzare addirittura le vittime.

Altre razze come il Dogo Argentino che rientra – Pitbull a parte sebbene nel suo Dna ne ha tracce – nel genere dei molossoidi ma anche cani che nulla hanno in comune con questi ultimi se non l'appartenenza alla stessa specie, come i Cani Lupo Cecoslovacco, protagonisti in negativo di un altro terribile episodio di cronaca avvenuto a Grugliasco, dove una donna morì per l'assalto dei cinque cani della figlia che stava ospitando a casa sua il 18 dicembre 2020.

Esiste in realtà, oltre alle razze coinvolte, una sola similitudine importante che va identificata in tutti questi casi: la scarsa conoscenza delle caratteristiche dei cani, la cui "colpa" rimane solo una, ovvero essere in mano a persone inconsapevoli che non solo non badano al benessere animale ma manco a quello degli altri esseri umani.

Contribuire a un dibattito ha senso se un'opinione non resta solo tale ma è avvalorata da dati e confermata dal buon senso ed è per questo che ci sembra utile allora contribuire in un modo pratico e diretto: fornendo informazioni utili sul Pitbull in questo caso, nella speranza che chi non li conosce davvero ma li compra o li adotta con inconsapevolezza e incoscienza la smetta di farlo.

Le origini del Pitbull: il retaggio dei combattimenti

La prima risposta che viene in mente a tante persone, molto esemplificativa della percezione che la società ha dell'umano e non del cane è: "il cane dei tamarri". Così viene visto questo animale che è stato selezionato dagli uomini per metterlo dentro un "pit", ovvero un'arena creata apposta, e farlo combattere con i suoi simili al fine di scommettere.

Questo retaggio – del resto che fa parte della vera storia del motivo per cui è stato creato il Pitbull (e anche l'American Staffordshire Terrier) dall'essere umano – è la sua continua, attuale e costante eredità e condanna che fa sì che molte persone lo vogliano accanto solo per status symbol: come esternazione dell'immagine di sé che si vuole dare agli altri.

Pensiamo ai nomi più frequenti che vengono dati a questa tipologia di cani: Tyson, Thor, Rambo e Attila, giusto per fare qualche esempio. Non lo scriviamo per strappare un sorriso, visto che stiamo parlando di qualcosa di molto serio, ma proprio per dimostrare che la scelta cade sull'animale per motivi legati principalmente alla sua morfologia massiccia e alla conoscenza superficiale dell'origine, ovvero senza andare davvero a fondo poi su come ci si deve relazionare con loro e di un aspetto della loro anima che poco emerge: una grande fragilità.

L'istruttore cinofilo Luca Spennacchio, nella prima puntata della serie "Che razza di Storia" su Kodami, ha ampiamente descritto la storia del Pitbull e spiegato chiaramente la situazione che si è creata ormai con questi cani: «In Italia abbiamo un problema molto serio: i canili sono pieni di Pitbull che nessuno vuole più. Le cose stanno più o meno in questo modo. Prima li compriamo dagli allevamenti per portarli in giro come “trofei” e mostrare il cane “palestrato” ai nostri amici e poi iniziamo a dire che questo cane è troppo pericoloso e decidiamo che non possiamo tenerlo più, liberandocene e lasciandolo così a “marcire” in canile. Come se la colpa fosse dei cani e non nostra…».

Il nome stesso del resto ci dice perché poi in giro notiamo il "Tyson di turno": Pitbull deriva come già sottolineato da “pit”, che vuol dire fossa, e “bull” che invece è legato all'attività pensata per questi cani: il “bull-baiting”, risalente al 1200, in cui gli animali venivano selezionati e preparati al combattimento contro i tori.

Nel 1835, praticamente 600 anni dopo, in Gran Bretagna furono finalmente vietati i combattimenti e moltissimi Pit furono eliminati perché non servivano più mentre altri divennero fattori e fattrici per arrivare poi alla creazione dell'American Pitbull Terrier, riconosciuto ufficialmente la prima volta nel 1898 dall'UKC (United Kennel Club). Quelli rimasti in giro per il Regno Unito, giusto per raccontare un'ultima chicca di una storia molto più lunga che può essere ascoltata nel video in alto, furono comunque da subito etichettati come "band dogs" perché scelti da malfattori o gente povera, persone che per la società in egual modo erano da mettere ai margini.

Avendo ora almeno in parte rimesso insieme il puzzle della vera storia dei Pitbull, torniamo su chi sono, sul loro carattere, su quell'anima, come accennavamo, da guerrieri fragili che hanno e sempre nella speranza che ciò sia d'aiuto a chi, andando alla ricerca sul Web di informazioni davvero da raccogliere per scegliere con consapevolezza, possa trovare qui ciò di cui davvero c'è bisogno di sapere per decidere di vivere o meno con un cane di questo tipo.

Carattere e motivazione dei Pitbull

La storia dei Pit ci aiuta ancora un po' per introdurre il focus sul suo carattere: quando si lavorava alla selezione, furono definiti cani  "half and half", ovvero “metà e metà” perché sono il mix perfetto tra le principali tipologie usate: molosso e terrier, tanto che come tipologia non rientra appunto nei "molossoidi" ma tra i"terrier di tipo bull".

Cosa vuol dire? Per capirlo bisogna andare ad indagare quelle che sono le motivazioni degli uni e degli altri – ovvero conoscere e comprendere i desideri e i bisogni di un cane – e metterle dentro ad un unico soggetto che, in ogni caso, non sarà mai frutto solo del suo DNA ma anche del contesto e il rapporto che avrà con chi lo circonda ne definirà la sua personalità.

Dai molossi i Pitbull hanno ereditato e portano con sé le motivazioni affiliativa e collaborativa che, unite a quella epimeletica lo rendono un compagno particolarmente affettuoso e centrato sull'umano, caratteristiche molto positive che ci fanno già comprendere quanta responsabilità ha la persona di riferimento che non si rende conto di avere accanto un cane che per lui farebbe di tutto, praticamente.

Ai Terrier, invece, questo cane deve le motivazioni predatoria e cinestesica che esprime con grande intensità. Come abbiamo scritto su Kodami, infatti, «ha una capacità incredibile di movimento, è agilissimo e pronto allo scatto in qualunque momento, soprattutto quando vicino a lui si muove qualcosa che fa scattare un incontrollabile impulso all'inseguimento, che nella maggior parte dei casi viene represso e manifestato scaricando la grande frustrazione anche mordendo e tirando il guinzaglio o, in casi estremi, direttamente la persona che è accanto a lui».

Da entrambe le tipologie derivano poi le motivazioni possessiva, la protettiva e la competitiva: «E' il cane che ama di più fare giochi basati sulla competizione ed è sempre e comunque intenzionato a vincere. La competizione accende nel Pit un fuoco tale quasi da fargli perdere il controllo: per poter affrontare queste situazioni bisogna conoscere a fondo il comportamento della razza e avere le competenze necessarie per gestirlo al meglio».

Ecco, da tutto questo quadro ciò che vorremmo emergesse è che si tratta di un cane la cui dolcezza viene messa sempre in secondo piano perché le altre sue caratteristiche sono invece estremizzate. E' un animale che passa da "o a cento" in un nano secondo, che quando si trova in una situazione che in lui va a sollecitare la motivazione predatoria, per fare l'esempio più facile da immaginare, lo portano a spingere il pedale della reattività subito a fondo. Ma questo non significa che ciò avvenga sempre e che sia automatico per tutti i Pitt: dipende tutto dalla sua famiglia, dalla persona a cui afferisce perché l'affiliazione e il desiderio di collaborazione che ha verso l'umano sono due delle sue principali, grandi qualità.

Nel video, Spennacchio a un certo punto dice: «Per gestire un Pitbull non possiamo mettere al primo posto le nostre esigenze. Se il Pitbull è attualmente il cane più abbandonato, è proprio perché oggettivamente non siamo in grado di prenderci cura di lui. E se anche qui in Italia esistesse una legge che vietasse la detenzione del Pitbull, non avremmo certamente i canili così pieni di questi cani, che non solo arrivano in canile già turbati ma, confinati dentro quelle gabbie, ancora più opprimenti per loro, finiscono per peggiorare ulteriormente».

Ecco, nel nostro Paese non vi è (ancora?) una legge così né, allo stesso tempo, c'è però da augurarsi che si arrivi alla soluzione estrema cui è giunto il Governo del Regno Unito dove si è arrivati a decidere che gli American Bully di taglia XL non possono più esistere, a causa proprio della quantità di comportamenti aggressivi, e si sta procedendo a sterminarli tutti.

Vivere con un Pit o un mix di questa razza può davvero essere un'esperienza meravigliosa e unica al patto di stabilire all'interno della relazione delle regole basate sulla coerenza, la chiarezza e la serenità di cui necessita un "combattente" dal cuore tenero che dipende dal suo umano di riferimento.

Porsi nei suoi confronti con empatia e rispetto fa sì che «questi cani "aprano il guscio" e "mostrino la perla nascosta", la loro vera anima, che è tutto il contrario di quello che sembra! Sono dotati di una dolcezza infinita, tanto massicci quanto fragili emozionalmente. Definirli fedeli non sarebbe abbastanza, sono proprio umano-centrici».

E' dunque all'umano che bisogna puntare, ancora una volta insistendo su un unico punto che riguarda tanto chi adotta o compra irresponsabilmente un cane quanto chi deve vigilare sulla salute animale, umana e "pubblica": lo Stato e le sue emanazioni con controlli veri e, non ci stancheremo mai di ribadirlo, serie campagne di informazione per operare a valle e non a monte, ovvero sulle adozioni responsabili.

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